Valcamonica

Veleni ex Selca, niente bonifica e rischio prescrizione

Il tribunale dispone un sopralluogo a Berzo Demo, in vista del processo del 5 giugno. Ma sul caso incombe la prescrizione
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Il processo partirà a breve, la prima udienza al tribunale di Brescia è prevista per il 5 giugno, ma sul caso dell'ex Selca di Berzo Demo incombe la prescrizione. Dei sette anni e mezzo previsti per il reato di traffico illegale di rifiuti ne sono passati già cinque: la cessazione dei fatti contestati risale al 2010, anno in cui sono finite le attività dell'azienda.

In precedenza, tra il settembre del 2009 e il febbraio dell'anno successivo, dall’Australia erano arrivate migliaia di tonnellate di rifiuti molto difficili da smaltire: Selca, unica al mondo (o quasi), possedeva le autorizzazioni per trattare i materiali «codice 161101 e 161103», ovvero i residui dei catodi dei forni di lavorazione dell’alluminio e dei mattoni refrattari. Secondo la Procura, l'azienda guidata da Flavio e Ivano Bettoni sminuzzava soltanto il materiale per venderlo ad acciaierie e cementifici di tutta Italia, senza che perdesse la qualifica di rifiuto fortemente inquinante. Dopo il fallimento, nei piazzali e dentro i capannoni sono rimaste circa 45mila tonnellate di materiali, ovvero fluoruri e cianuri sia solubili sia insolubili in acqua, sostanze tossiche e cancerogene. 

Due dei quattro coindagati, accusati di aver fatto da intermediari nella cessione degli scarti tra la Selca e le acciaierie che li hanno acquisiti, hanno patteggiato la condanna ad un anno di reclusione (pena sospesa), mentre gli altri due sono stati prosciolti dall’accusa.

A processo finiranno i Bettoni: in vista della prima udienza, la Regione Lombardia, il Comune e la Comunità montana, così come a breve farà l’Unione della Valsaviore, si sono costituiti parte civile. Nel frattempo, i cancelli dell'ex Selca si sono aperti ieri mattina per lasciare entrare un pool di tecnici. Per cinque ore hanno  svolto un sopralluogo su disposizione del tribunale, prelevando campioni e monitorando con attenzione lo stato dell’area e dei rifiuti presenti sui piazzali e dentro i capannoni. Oltre ai periti del tribunale, c’erano Arpa, vigili del fuoco di Brescia e Darfo, Nas, carabinieri di Cedegolo ed esperti di un’azienda di Marghera. 

Processo a parte, resta aperto il fronte ambientale. Nell'inchiesta della Procura sono finite 23mila tonnellate di celle elettrolitiche accumulate nell'impianto di Forno Allione, ma rappresentano solo la metà del materiale da rimuovere. Dal 2010 non è stato fatto nulla, nonostante Tar e Consiglio di Stato abbiano imposto al curatore fallimentare la bonifica. Per rimettere in sicurezza l'area servirebbero 8 milioni di euro, la Regione ne ha stanziati 240mila: una goccia in un mare di veleni. 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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