Valcamonica

Soldi per saltare le liste d'attesa, i pazienti rischiano di essere indagati

Il giudice riscrive l’accusa di concussione in indebita induzione, reato che punisce anche chi paga
Parte dei contanti sequestrati al primario di Esine - © www.giornaledibrescia.it
Parte dei contanti sequestrati al primario di Esine - © www.giornaledibrescia.it
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Il conto per loro rischia di essere ben più salato dei 400, 500 euro che hanno versato nelle mani del loro oculista per saltare la coda. Per il giudice che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare e lo ha bloccato ai domiciliari, Giovanni Mazzoli non deve rispondere di concussione, ma di indebita induzione. E per i venti pazienti del primario di Esine sino ad oggi ritenuti sue vittime fa una bella differenza. Anzi una brutta differenza, la stessa che corre tra costringere qualcuno a fare e limitarsi ad indurlo.

La spiegazione tecnica

Nel codice penale questo distinguo si esprime attraverso due articoli. Il 317 (la concussione contestata dall’accusa) punisce con pene tra i 6 e i 12 anni solo «il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio (quindi anche il primario) che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità». Il 319 quater (l’induzione indebita a dare o promettere utilità, ipotizzata dal giudice nell’ordinanza di custodia) condanna con pene tra i sei e i dieci anni e mezzo il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, ma anche, e con condanne fino a tre anni, chi gli dà o promette denaro o altra utilità, quindi nel caso concreto il paziente che ha sborsato denaro per sorpassare a destra gli utenti in lista d’attesa.

Se lo spirito della norma è evidente - punire tutti i furbi siano rappresentati dello Stato, ma anche solo dei loro esclusivi interessi - meno evidente oggi è il destino dei venti pazienti del dottor Mazzoli che hanno aperto il portafogli per saltare la coda e che, codice alla mano, dovrebbero essere iscritti nel registro degli indagati per induzione indebita. Se è probabile che al primario di Esine, accusato di averli costretti a pagare prospettando loro conseguenze davvero nocive per la loro salute, ma anche tempi d’attesa decisamente più dilatati del reale, la Procura continui a contestare la concussione è altrettanto probabile che qualora un giorno il medico sia condannato per induzione indebita anziché per concussione, il Tribunale non potrà non chiedere alla procura di indagare anche i suoi pazienti per il concorso nel reato.

In silenzio

L’ospedale di Esine - Foto @ www.giornaledibrescia.it
L’ospedale di Esine - Foto @ www.giornaledibrescia.it

Ieri intanto il primario oculista dell’ospedale di Esine si è trovato a tu per tu con il giudice delle indagini preliminari Federica Brugnara, per l’interrogatorio di garanzia. Assistito dall’avvocato Mario Nobili, cui in giornata si è affiancato l’avvocato Luigi Frattini, Mazzoli si è avvalso della facoltà di non rispondere. Pochi minuti in Tribunale per poi tornare a casa agli arresti domiciliari con l’accusa anche di falso in atto pubblico, per aver rilasciato certificati medici necessari per il rinnovo della patente di guida non proprio veritieri; di truffa, per essersi recato più volte in ospedale solo per timbrare ingresso e uscita, senza fermarsi a lavorare; ma anche di peculato per aver trattenuto la quota di parcella spettante all’Asst di Valcamonica.

Sproporzione

Secondo i sostituti procuratori Donato Greco e Claudia Moregola, il sistema di mazzette documentato dai Carabinieri di Breno con intercettazioni telefoniche ed ambientali, ha consentito al primario un tenore di vita che lo stipendio da dirigente medico, che veniva accreditato ogni mese sul conto corrente, ma non veniva toccato né per le più onerose, né per le spese più minute, non può da solo giustificare. La sproporzione tra quanto guadagnato e quanto posseduto dal primario ha dato titolo a sostanziosi sequestri. Oltre a 200mila euro, i carabinieri hanno sequestrato una trentina di quadri di valore, alcuni orologi preziosi (tra i quali un paio di Rolex) una cantina di etichette prestigiose e 340mila euro in contanti: i 58mila trovati in casa e i 281.500, in banconote da 50 e 100, in banca.

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