Parlar gaì all’alpeggio con barbète e baiùs
La capra bionda dell’Adamello è animale che ha trovato in Valsaviore il suo habitat ideale. Quando sconfina nei pascoli camuni fatica però a comunicare con i suoi simili, lei non parla il caprese: la sua lingua è il gaì, l’ha imparata dal suo pastore.
Il gaì non è, come si potrebbe erroneamente pensare, un dialetto. È, appunto, una vera e propria lingua, una lingua parlata per secoli dai pastori: una lingua inventata proprio da loro. I pastori erano gente che parlava pochissimo, l’indispensabile per farsi capire, non una parola di più: soprattutto volevano farsi capire solo da chi volevano loro.
La slacadùra gaì è una lingua straordinariamente affascinante: la barbèta è la capra, la barbìna è la pecora;artù (chissà perché) è il pane, baiocà è parlare troppo, baiùs è il cane; iò vuol dire sì; màfia è una donna di mezza età; mariol è uno furbo; monèl è il gatto mustùs è il burro; camotèl è una pedata.
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