Paolo e Nadia: due «cittadini» che coltivano genepy e genziana
A pochi minuti da Fabrezza, dove a migliaia ogni anno lasciano la macchina per raggiungere i rifugi dell’Adamello, si coltiva il genepy, la genziana, l’aronia, i mirtilli. Tutto in maniera naturale, tutto certificato biologico.
La testa della Valsaviore è quasi selvaggia, con il bosco che avanza, ricopre zone dove un tempo si faceva il fieno. Eppure c’è un fazzoletto di terra tutto in salita, che è stato strappato ai tentacoli delle vegetazione e che da una decina d’anni produce genepy, genziana, aronia, mirtilli e poco d’altro. Siamo in località Maè e per questo l’aziendina agricola si chiama Shanti Maè. A coltivare ci sono Paolo Messali e Nadia: non due montanari, ma due «cittadini»: lui, 47 anni, è di Coccaglio e lavorava in un’azienda agricola in Franciacorta, lei, invece, di Orzivecchi, in un laboratorio dello zooprofilattico a Brescia. Sempre professioni legate all’agricoltura, ma nulla a che fare con l’alta montagna, con il coltivare piante a 1.500 metri di quota.
Paolo e Nadia vivono in una baita che, una dozzina di anni fa, era a terra e che la curia voleva vendere. L’hanno vista in una delle loro escursioni in montagna e l’hanno acquistata per poco, trasformata oggi in un luogo magico. Non ci vivono tutto l’anno, ma appena i ghiacci iniziano a sciogliersi la porta in legno si apre. «In montagna si può vivere e fare agricoltura - ci racconta Paolo -, importante è sapere che certe cose te le devi dimenticare: i soldi, a esempio, sono l’ultima cosa cui pensiamo. Il difficile è staccarsi da un sistema cosiddetto normale nella tua testa, ma se vedi altre situazioni come questa ti chiedi cos’è la normalità. I primi anni sono difficili, ho avuto molte crisi proprio per la testa, che non è facile cambiare».
La coltivazione principale, in Maè, è il genepy: ce ne sono almeno duemila piante. Il prodotto essiccato viene venduto a un laboratorio di Rovigo. Ma il progetto di Paolo e Sara, ora che hanno iniziato a coltivare la pianta, è produrre il liquore interamente in Valsaviore, per ottenere «il Genepy della Valsaviore», coltivato e prodotto tutto nella vallata camuna, aprendo un laboratorio. «La mia idea è prendere il seme autoctono di genepy e riprodurlo - continua Paolo -, le piante che abbiamo oggi sono originarie della Val d’Aosta».
Quest’anno, purtroppo, la coltivazione dei mirtilli è andata male: all’occhio inesperto paiono belli, grossi, tutti da gustare, e invece sono buoni solo per marmellate e succhi, non per la vendita del frutto. «Deve piacere molto un certo stile di vita - conclude Paolo - altrimenti è dura, ma vale la pena»
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato