Ono San Pietro, la «vendetta disumana» di Iacovone
Una vendetta disumana per infliggere alla moglie l’ultima definitiva sofferenza. Ma soprattutto nessuna reale intenzione di suicidarsi, perché questo gli avrebbe impedito di completare la sua vendetta che prevedeva appunto di guardare lo strazio indicibile provocato alla moglie.
Si legge questo nelle motivazioni, depositate nelle scorse ore, della sentenza nei confronti di Pasquale Iacovone, l’uomo, condannato all'ergastolo, che il 16 luglio 2013 a Ono San Pietro uccise i suoi due figli Andrea e Davide di 9 e 12 anni, morti carbonizzati nell’appartamento dove si trovavano con il padre, separato dalla moglie Erica Patti.
«L’imputato - scrive il presidente della Corte Enrico Fischetti- spinto da rancore ed odio inaudito verso la moglie aveva deliberato di imporre un’ultima definitiva sofferenza. Uccidere i figli ed assaporare il gusto tremendo di vederla soffrire in modo indescrivibile di fronte corpi carbonizzati».
Per la Corte d’Assise d’Appello Iacovone, rimasto ustionato nel rogo che volontariamente appiccò in casa, simulò il tentativo suicidio.
«Questa vendetta disumana - si legge nelle 110 pagine di motivazione della sentenza di condanna all'ergastolo - non poteva comprendere un’attività suicidiaria perché l’imputato per assaporarla doveva vedere la donna in faccia per godere della sua sofferenza. Tale comportamento ha tenuto anche nel corso dell’udienza di appello, dopo un vano tentativo di sottrarsi lucidamente al giudizio, guardando la moglie ancora una volta piegata nella sua disperazione senza rimedio».
La Corte ha poi ripercorso la mattina del duplice omicidio: «Agevolato dal sonno dei due figli Iacovone li ha barbaramente soffocati e poi è iniziata una lunga opera di spandimento della benzina per procurare l'incendio». Per i giudici «non si è trattato quindi di un momento di esaperazione improvviso, ma di una lucida e consapevole azione finalizzata a mascherare ciò che era successo».
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