Niardo, trentacinque anni dopo l'esondazione si ripete
Il rumore degli argini che si rompono nel buio della notte, il rombo dell’acqua mista a fango che tracima dall’alveo del torrente Re e si riversa per le strade travolgendo tutto ciò che trova sul proprio corso, case e persone comprese. Un film dell’orrore che si ripete davanti agli occhi di chi, a Niardo, vive da sempre. Perché quella che è avvenuta nella notte tra mercoledì e giovedì è solo l’ultima delle esondazioni che hanno sconvolto il paese camuno.
La prima che certamente è tornata alla mente dei testimoni o di chi ha assistito a distanza attraverso le foto e i video che documentano la tragedia è quella della sera del 24 agosto 1987: uno dei troppi disastri accaduti nei giorni dell’alluvione della Valtellina. Allora, il dissesto era stato il culmine di giorni e giorni di forti piogge che avevano reso instabile e fragile il terreno, con i corsi del Re e del Cobello trasformati in una valanga di detriti fuori controllo.
Il bilancio fu drammatico
Persero la vita Antonietta Sacristani e Giovanni Pandocchi, due anziani coniugi di Niardo, che in fuga per trovare riparo dai parenti furono travolti dalla furia di fango e massi. I loro corpi furono ritrovati soltanto tre giorni dopo. L’alluvione del 1987 coinvolse anche Esine, Darfo e la Valsaviore, con cinque vittime totali e una conta dei danni pesantissima: edifici lesionati, strade invase dalla melma, dagli arbusti e dalle pietre trasportati dall’acqua. Anche allora, come oggi, la ferrovia Brescia-Iseo-Edolo si ritrovò completamente bloccata dall’invasione di terra sui binari. Con il tempo, Niardo si rialzò grazie ai fondi della «legge Valtellina», pensata per sistemare i corsi d’acqua e creare briglie e vasche di sedimentazione.
Strutture che anche oggi hanno retto, senza però riuscire a contenere la furia dell’acqua e del fango. Ma indistruttibile si è dimostrata invece la forza di volontà degli abitanti e dei Corpi di soccorso, che, come un filo rosso, attraversa questi trentacinque anni di distanza. Agli elicotteri e ai nuovi mezzi impiegati dalla Protezione civile, dai Vigili del fuoco e dalla Polizia locale durante questi giorni fa eco l’impegno dei tanti volontari che, fin dalle prime luci dell’alba del 25 agosto 1987, cominciarono a spalare nel fango e posizionare una passerella provvisoria che permettesse il transito sul torrente, mentre anche donne e bambini cercavano di spostare massi e dare il loro contributo come potevano. Ci fu anche un gruppo di ragazzi che portò il pane da fuori, perché Niardo non rimanesse senza, soprattutto in una mattina come quella.Sul nostro giornale, la mattina successiva, il racconto della cronaca è titolato: «Piove, e ancora una volta è dramma in Valcamonica». Questo perché nel tempo la Valle era già stata colpita da dissesti idrogeologici. Una lunga catena, che parte nel 1960, quando un’enorme alluvione travolge Paisco Loveno, e prosegue - dopo il 1987 a Niardo - esattamente dieci anni fa: era il 27 luglio 2012 quando una frana dovuta alla pioggia intensa si stacca in Val Rabbia, sopra Rino di Sonico, travolgendo alcune abitazioni e isolando il paese.
Come si trattasse di un male cronico, da cui la Valcamonica è colpita irrimediabilmente, ogni volta come se fosse la prima. Scene già vissute, paura già provata, ma a cui sarà impossibile abituarsi.
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