Le Unioni di Comuni in Valcamonica stanno facendo fatica
L’unione fa la forza, dice un antico adagio. Ma non sempre è così. Per quanto riguarda le Unioni di Comuni servono risorse (molte), convinzione politica, visione strategica che va oltre il contingente e capacità di mediare. Caratteristiche che, ai temi odierni, stanno forse un pochino scemando.
Quel che è certo è che i preziosi fondi garantiti nei primi anni delle Unioni non ci sono più, i soldi per la gestione dei «super comuni» sono sempre meno e questo determina lo sfilacciarsi delle motivazioni allo stare insieme. Ne è un esempio la Valcamonica, il territorio montano dove sono state costituite più Unioni di Comuni che altrove: oggi sono sei (fino a qualche anno fa erano sette), in un’area che conta 40 municipi, 100mila abitanti e cento chilometri di estensione. Qualcuna più coesa, qualcuna ormai statica e incollata solo per abitudine e qualcuna in crisi.
Dove non va
La prima aggregazione nata in Valle nel 1998 (e tra le prime in Italia, per la lungimiranza dell’allora segretario comunale Paolo Marangoni), quella tra Ceto, Cimbergo e Paspardo, è ormai uno spettro, con Ceto, il Comune più ricco perché gode dei fondi Odi, che se n’è andato da un po’ e i due piccoli a languire.
L’Unione della Bassa Valle, nata nel 2010 dal matrimonio tra Artogne, Gianico e Piancamuno, non esiste più, è stata sciolta con una delibera del settembre 2018 per i contrasti tra le Amministrazioni. Anche l’altra storica Unione, quella della Valsaviore (tra Cedegolo, Berzo Demo, Cevo, Saviore e Sellero), che quest’anno festeggia il quarto di secolo, appare un po’ stanca e l’idea dei fondatori di creare un Comune unico non è più nella testa di nessuno.
Dove va meglio
Resiste invece bene quella dell’alta Valcamonca tra Ponte di Legno, Temù, Vione, Monno, Incudine e Vezza, che continua a essere piuttosto propositiva, a ragionare insieme soprattutto in termini turistici e su diversi progetti: l’ultimo è la comunità energetica. Le ultime nate, tra il 2010 e il 2011, continuano a lavorare, ma senza guizzi: l’unica a mantenere l’impianto originario è la Orobie bresciane, che raduna Edolo, Malonno, Corteno, Sonico e Paisco.
La Civiltà delle pietre, con Capo di Ponte, Cerveno, Losine e Ono, ha visto l’uscita, qualche anno fa, di Braone, mentre quella degli Antichi borghi ha vissuto più contrasti: dapprima se n’è andato Bienno, che voleva formare l’aggregazione, mai nata, della Valgrigna, e poi Breno, strappo doloroso che ha portato anche al trasferimento della sede da a Cividate; sono rimasti Borno, Malegno, Ossimo, Niardo e sono entrati Cividate ed Esine.
Ci sono pure municipi mai aggregati: Lozio, Darfo, Angolo, Piancogno.
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