«Iacovone pensò come uccidere i suoi bambini»
Pasquale Iacovone non si limitò a volere la morte di Davide e Andrea, sangue del suo sangue. Ma per pianificare il loro omicidio, e quindi la trasversale vendetta nei confronti dell’ex moglie, si prese del tempo.
Ne sono convinti anche i giudici della Corte di Cassazione. Il 12 aprile di quest’anno gli «ermellini» hanno pronunciato la definitiva conferma dell’ergastolo imposto al 44enne imbianchino di Ono San Pietro che il 16 luglio di quattro anni fa soffocò i due figli, di 9 e 12 anni, cosparse il loro corpo di benzina, lo fece anche col suo e appiccò le fiamme a sé e a loro, trasformando la sua casa presa in affitto, nella tomba delle sue creature. I giudici della Suprema corte, al pari dei giudici di primo e secondo grado, ritengono che la premeditazione di Iacovone sia più che provata.
Lo dimostrano le minacce alla moglie «verso la quale provava odio e profondo risentimento» scrivono i giudici, ma anche l’acquisto di notevole quantità di benzina, l’interruzione delle comunicazioni telefoniche, sue e dei figli con la madre sin da tre giorni prima, le frasi pronunciate in paese, tra le quali «questa è l’ultima volta che ti pago» detta al droghiere di OnoSan Pietro. Il tempo intercorso tra «l’insorgenza del proposito criminoso e la sua attuazione, era tale da consentire a Iacovone di riflettere sull’efferato delitto e di valutare anche la possibilità». La scelta di portarlo a termine non lasciano spazio a dubbi circa la sussistenza della condizione necessaria, la premeditazione appunto, per infliggere l’ergastolo. Allo stesso modo per la Suprema Corte dubbi non si possono avere anche sulla legittimità del diniego delle circostanze attenuanti generiche. Corretto per i giudici della Cassazione il ragionamento dei colleghi di primo e secondo grado. Iacovone non le merita per le «modalità atroci del fatto, il feroce movente (individuato nel desiderio disumano di voler vedere soffrire la propria moglie), nonché per il comportamentO tenuto successivo al fatto». Gli «ermellini» ricordano che il 43enne imbianchino - che è stato strappato alla morte dai medici del reparto grandi ustionati dell’ospedale di Padova e che da allora convive con ustioni sull’85% del corpo - ha tentato di manipolare le indagini simulando elementi di responsabilità di terzi» e dimostrato anche così «il suo elevato grado di pericolosità».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato