Dal pellegrinaggio in Adamello risuona un corale grido di pace
Un appello corale, dagli uomini di Chiesa e da quelli in armi, dalle istituzioni e da chi, con tanta semplicità, indossa un cappello con la penna, da chi ha le rughe che rigano il volto a chi, invece, sfoggia una pelle liscia come quella di un bambino. Dal 59° pellegrinaggio in Adamello, ai 2.350 metri di Cima Rovaia, è stato lanciato ieri un grande appello alla pace, oggi che la guerra si sta combattendo a qualche centinaio di chilometri dal confine italiano.
Il 59° pellegrinaggio in Adamello si chiude oggi con la sfilata tra le vie di Vezza d’Oglio. Il programma prevede alle 9 l’ammassamento lungo via Dante e a seguire il corteo di tutti i gruppi, con in testa i pellegrini e le bande ad allietare l’incontro. A seguire, alle 10.30 nello stadio comunale, i discorsi delle autorità e la messa presieduta dal cardinale Giovan Battista Re; la giornata si chiuderà alle 13 con il pranzo al Centro eventi.
Ieri, nel giorno del ricordo dei giovani che, oltre cento anni fa, per garantire la pace hanno perso la vita, si è alzata l’invocazione al cielo e agli uomini perché tacciano le armi e prevalgano gli abbracci.
Il messaggio
È questo il messaggio che ci consegna la cerimonia in quota di ieri, che ha visto radunarsi al cospetto dell’Adamello diverse centinaia di persone, tra cui tanti alpini e altrettanto numerosi amici degli alpini. Duecento di loro erano nelle colonne dei pellegrini, partite tra giovedì e venerdì per arrivare in quota giusto in tempo per la messa celebrata dal vescovo Pierantonio Tremolada. È stato lui il primo, dall’altare ricavato nello spiazzo delle trincee, dove le penne nere hanno allestito un piccolo museo, a parlarne invocando Maria Regina della pace: «È una parola sulla bocca di tanti, ma oggi - ha sottolineato - indica una realtà difficile da realizzare. Per questo è importante invocarla come dono di Dio, da una montagna dove si è sperimentata la guerra. Oggi si è fatta vicina a noi: invochiamo la pace perché la guerra, con l’aiuto di Dio, venga dimenticata. Sembra impossibile, ma chiediamolo al Signore».
Ha raccolto questo invito il generale Franco Del Favero, comandante della brigata alpina Julia, che ha raccontato un’esperienza personale con i suoi figli, rivolgendosi soprattutto ai giovani presenti e chiedendo loro di «avere sempre il coraggio di chiedere e non fermarsi davanti a nulla. Non abbiate paura di avere coraggio, perché l’Italia ha bisogno di voi e noi abbiamo il compito di consegnarvela al meglio che possiamo». Un po’ tutti, a dire il vero, hanno usato la parola pace nei loro interventi, dal sindaco di Vezza Diego Occhi, che l’ha collegata all’unità della comunità, al consigliere regionale Davide Caparini, che ha affermato che «gli alpini sono uomini di poche parole e tanti fatti». Esattamente come lo sono i due presidenti Cirillo Ballardini (Ana Valcamonica) e Sebastiano Favero (Ana nazionale).
Emozioni e silenzio
La cerimonia in quota è scivolata via veloce, tra un raggio di sole a fare capolino dalle nuvole a uno sbuffo di vento. Tante le istantanee da portarsi nel cuore, dal labaro con le 216 medaglie d’oro che luccicano guardando all’Adamello, a tutti i presenti che cantano il Signore delle cime; dal cerimoniere che invita al silenzio anche dei telefonini, perché «ci tengono perennemente fuori di noi», al capogruppo degli alpini di Vezza Ermanno Gregorini, che a nome dei suoi associati omaggia il vescovo con una scultura in bronzo della chiesa di San Clemente, da cinquant’anni in gestione alle penne nere locali.
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