Covid: «Pasti all’aperto, serve una deroga per la montagna»
Un inverno senza impianti di risalita aperti, senza sciatori e, di conseguenza, senza turisti. Mesi disastrosi, con attività che hanno perso fino al 90% di fatturato. Ora la prima parte della primavera, tra lockdown e temperature piuttosto fredde, è scivolata via senza grandi novità, con le vacanze di Pasqua che hanno visto le località dell’alta Valcamonica semivuote. Ora, quando tutti guardano con fiducia all’estate, per il turismo della montagna è arrivata l’ennesima mazzata: il decreto «riaperture» del 21 aprile ha sì stabilito la riattivazione di bar e ristorazione con servizio al tavolo fino alle 22, ma solo all’aperto.
Condizione impossibile in montagna oggi, con le temperature così basse (ieri mattina a Ponte di Legno c’erano tre gradi), ma anche guardando avanti, visto che la sera fa sempre freschino.
La lettera. Raccogliendo malumori, richieste e appelli del territorio, il presidente della Comunità montana Alessandro Bonomelli ha condiviso con i sindaci una lettera, inviata nei giorni scorsi al ministro Massimo Garavaglia e all’Uncem (Unione nazionale Comunità montane) per chiedere una deroga per i territori e i ristoratori di montagna. «La sola ristorazione all’aperto ci penalizza fortemente, perché le nostre attività si trovano in località montane e la sera è quasi impossibile stare all’aperto per cenare - dichiara Bonomelli -. Inoltre molti esercizi non dispongono di spazi all’aperto. Questo decreto danneggerà le piccole realtà, che sono la spina dorsale del turismo locale, agriturismi, centri benessere e piccoli alberghi a conduzione familiare. Per molti, in città e nelle località marittime, il decreto riaperture è stato un boccata d’aria fresca, ma non di certo per tutte le imprese situate in quota».
La Valcamonica si aspetta una deroga per tutti i territori montani, per permettere alle attività di poter legittimamente lavorare.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato