Addio a Pino Veclani, il fotografo della montagna incantata
Uno sguardo paziente, attento, rispettoso. Uno sguardo capace di cogliere, e di restituire a piena vita dentro uno scatto fotografico, tutta la luce primordiale che vibra - talvolta delicata, tal’altra drammatica, sempre spirituale - nell’anima di una montagna. È lo sguardo di Pino Veclani, che ci ha lasciato domenica e che oggi verrà sepolto nella sua Pontedilegno. Fotografo per tradizione familiare e per qualità personale, ha firmato negli anni alcune raccolte di scatti imperdibili, che hanno valso a lui il prestigioso premio QEP (Fotografi Europei Qualificati) della Federazione europea fotografi professionisti, e che ha lasciato a noi una testimonianza di cosa sia l’arte del guardare. Saper ri-scoprire. Guardare per scoprire. O, meglio, per ri-scoprire la magia primordiale di un crinale, di una vetta, di un piano innevato anche là dove troppo spesso una fruizione frenetica e ludica della montagna ci impedisce di vedere.
Anche dopo 63 anni di fotografia, Pino conservava invece nel guardare la capacità di emozionarsi. Raccontava di sé: «Come un bambino rimango incantato di fronte a ciò che la luce sa fare: rende nuovo un luogo familiare, per esempio il nostro Passo Gavia. Qui il cuore accelera i suoi battiti; la paura di perdere l’attimo avanza; quando lo scatto è terminato ringrazio a voce alta Chi ha creato tutto ciò che vedo». Pino Veclani aveva cominciare a respirare la passione per la fotografia nello studio che il padre Emilio aveva aperto nel ’46 in Corso Milano a Ponte. Poi nel ’62 il diploma di fotografo all’Istituto Cesare Correnti di Milano e due anni da docente nella stessa scuola. Infine il rientro in alta Valcamonica per una lunga attività professionale.
Puntuale e attento il lavoro di archivio, con la sistemazione anche degli scatti del padre, oggi in grado di documentare come la conca di Ponte e l’alta valle siano cambiati a partire dagli Anni Trenta. Delicata e sensibile poi la sua personale opera di racconto di un territorio montano - quello che si sviluppa all’ombra dell’Adamello - fra i più ricchi di storia e natura tra quelli dell’arco alpino. Ne sono nati bellissimi libri fotografici: da «Terre alte» del 2004 a «Sentieri di luce» del 2008, e poi in sequenza «Il silenzio dei colori», «Il deserto nella montagna» e il più recente «Cascate di luce» pubblicato nel dicembre del 2019. Quella che emerge dagli scatti di Pino Veclani è una montagna incantata. Colta e raccontata in condizioni di confine. «Mi piace fotografare all’alba o al tramonto - confessava volentieri a chi ha avuto la fortuna di condividere con lui il lavoro e l’emozione di un panorama - oppure quando il mutare del tempo regala cieli densi di nuvole e squarci di sole».
Alla montagna riservava rigorosamente l’uso della pellicola analogica («Preferisco la strada più difficile», sorrideva) e due macchine panoramiche. «Non programmo mai le uscite - confessava -, mi alzo prima del sole e do un’occhiata al cielo. Se mi ispira, vado». Zaino in spalla, scarponi o sci ai piedi, lunghe salite. Sempre accompagnate da quello sguardo attento e rispettoso che sapeva regalare ai monti come alle persone. Tornava in studio con scatti capaci di respirare. Di restituire allo spettatore il riflettersi algido della cima di Pietra Rossa nello specchio del Lago Bianco al Gavia, o il flettersi umile degli abeti carichi della pesante nevicata notturna, l’ultima dolorosa carezza del tramonto che scivola dal Castellaccio innevato, il serpente del gregge di pecore che risale umile il faticoso pendio ignorato dalle auto. Pino Veclani ci mancherà. Ci resta l’incanto che il suo sguardo ha saputo donarci.
Nato il 24 aprile del 1945, Pino Veclani è morto domenica vinto da una malattia con la quale combatteva ormai da tempo. Lascia la moglie Marilena e i figli Anna, Elena, Nadia e Paolo. Il funerale verrà celebrato oggi, martedì 2 marzo, alle 15.30 nella parrocchiale del paese.
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