Per i ventenni alcuni argomenti non dovrebbero essere toccati dalla pubblicità

Sara Polotti
Come la cronaca violenta, la religione o la disabilità: se n’è parlato in Sala Libretti in merito a un’indagine realizzata dall’Accademia SantaGiulia
L'incontro in Sala Libretti al Giornale di Brescia
L'incontro in Sala Libretti al Giornale di Brescia
AA

I ventenni di oggi sono convinti che alcuni argomenti non siano scomodabili dalla pubblicità: su cronaca violenta, religione, disabilità e sesso meglio non scherzare. E meglio non usarli a scopi commerciali. Perché? «Perché sono cose serie che non c’entrano con la vendita del prodotto».

Di ironia, umorismo nero, insta-marketing e tabù usati dalla pubblicità si è parlato nella Sala Libretti del Giornale di Brescia durante l’incontro «Riflessioni filosofiche sull’etica e sull’intersoggettività nell’epoca del digitale» in collaborazione con Accademia SantaGiulia. Nei mesi scorsi, infatti, circa 400 persone tra studenti e personale dell’accademia hanno ragionato sul tema, dando corpo a un’indagine che è stata presentata dal direttore Angelo Vigo e dal docente Massimo Tantardini per riflettere sul senso etico, filosofico ed economico del marketing.

I casi

Il tema è stato sollecitato dal Giornale di Brescia anche alla luce di alcune vicende di cronaca pubblicitaria. A spiegarlo è la direttrice Nunzia Vallini, che ha coordinato la discussione a cui ha partecipato da remoto anche la filosofa Nicoletta Cusano. «Sono tre gli eventi comunicativi che ci hanno portato a riflettere. La prima è la pubblicità dell’azienda di pulizie Montini, che ha parlato di «Benedette pulizie» portando i lettori a scrivere al direttore che non era rispettosa. C’è poi la campagna di Dexa con riferimento alla ‘pillola blu’ e alla fedeltà coniugale (anche questa molto contestata). E infine il marketing di Taffo, azienda che è sbarcata a Brescia con un nuovo punto dedicato ai servizi funerari puntando sulla comunicazione ironica e per forza un po’ nera. Ci fu grande dibattito tra la redazione e il reparto marketing, prima della pubblicazione», ha svelato Vallini. «Ci siamo chiesti: ‘Fino a che punto il linguaggio commerciale può entrare nel sentire collettivo?’ Soprattutto con Taffo: era da poco trascorso il periodo Covid e la sensibilità rispetto alla morte era alta. Queste pubblicità, dunque, cosa comunicano al lettore di un giornale generalista che parla a tutti?».

L'incontro in Sala Libretti al Giornale di Brescia
L'incontro in Sala Libretti al Giornale di Brescia

Le riflessioni

Spiazzano, fanno sorridere, scatenano dibattiti: una presa di posizione netta rispetto alle pubblicità di questo tipo non c’è, almeno tra i ragazzi dell’accademia. Ma ciò non toglie che secondo tutti la creatività in ambito commerciale – per quanto non debba avere limiti – dovrebbe sempre tenere conto della sensibilità di tutti. «Taffo, per esempio, può fare ridere. Ma il giornale finisce in tutte le case, anche dove la morte è presente in quel momento», fa notare Vallini. «Dobbiamo sempre valutare se pubblicare o meno un contenuto. Non solo perché validiamo quell’attività, ma anche perché bisogna fare attenzione all’accostamento con le notizie già in pagina».

Anche su questo i ragazzi sono d’accordo: più dell’86% ritiene che il giornale debba selezionare le pubblicità. E lo pensa anche Anna Medeghini, che ha lavorato nel marketing, che studia filosofia e che incarna i due lati della discussione. Al Giornale di Brescia scrisse una lettera: trovò offensiva e denigratoria una pubblicità di Dexanet, che usava secondo lei il sessismo per parlare dell’azienda. «Spesso si banalizzano le questioni con ironia e goliardia. “Fattela una risata”, si dice, ma sono offese. Un’azienda di comunicazione e il giornale hanno responsabilità: possono cambiare la narrazione. Anche perché a volte non c’è bisogno di “sdrammatizzare”: certe questioni avrebbero bisogno di maggiore attenzione». Loris Garau di Dexanet dopo la critica di Medeghini si è messo in discussione. «Parlavo alle imprenditrici», sorride, «pensando di scardinare ciò che di solito si vede in giro. Ma anche quando si è ispirati da buone intenzioni capita di ottenere il risultato opposto. Ritirammo quindi un’affissione – «trattiamo il tuo business meglio di come tua moglie tratta te» – perché effettivamente avevamo sottovalutato la sensibilità». A volte, dice, trattare certi temi è prematuro perché i nervi sono scoperti.

L’importanza del rapporto con l’altro

Il quadro di lettura delle pubblicità non può, peraltro, prescindere dalla riflessione sull’intersoggettività e sul rapporto con l’altro. L’interazione è infatti mutata pesantemente negli ultimi anni e imposta anche la direzione delle pubblicità. «Al centro non c’è mai l’alterità dell’altro», dice Nicoletta Cusano, filosofa. «L’altro è sempre funzionale alla conferma delle aspettative. Oggi non si fa un’esperienza senza diffonderla via social. Al ristorante si mangia solo dopo aver postato la foto. Lo si fa perché si ha bisogno di farlo: attraverso i like si costruisce e conferma la propria identità. Ma la relazione interpersonale non è un rapporto con qualcuno che ci asseconda sempre, ma con qualcuno diverso, che non dà necessariamente ragione. Oggi via social non c’è questo rapporto».

Negli Stati Uniti indagano sulle relazioni dal 2019 e i risultati parlano di uomini maschi che sono single «per la gratificazione delle relazioni virtuali con chatbot». Fidanzate virtuali, insomma, che evitano i problemi di coppia. «Si cercano sempre situazioni confermative delle proprie tendenze. Attraverso il digitale si tende a costruire una relazione con l’altro in cui l’altro non è l’altro, ma un altro che sta lì per confermare le aspettative».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia