Viadellironia: «Rock alternativo sognando di tornare sul palco»
Giunge l’ora, per Viadellironia, di mettere radici... sul soffitto. Da giovedì è infatti disponibile, sulle piattaforme digitali e in rotazione radiofonica, «Ho la febbre», il singolo che anticipa l’album di debutto della band bresciana, intitolato appunto «Le radici sul soffitto» (atteso il 20 novembre).
Viadellironia è il nome che definisce l’intrigante progetto di rock alternativo allestito da quattro giovanissime bresciane - Maria Mirani, Giada Lembo, Marialaura Savoldi, Greta Frera - che già nell’ep «Blu moderno» (2018) avevano mostrato tracce evidenti, sebbene ancora imperfette, di qualità. «Le radici sul soffitto» è un lavoro più maturo, a tratti molto bello, nato dalla collaborazione con il produttore Davide Luca Civaschi, uno che in veste di chitarrista e con lo pseudonimo di Cesareo ha contribuito alla irresistibile epopea musicale di Elio e le Storie Tese.
L’album affronta in chiave critica la decadenza del mondo attuale, attraverso una resilienza che contrasta creativamente (e ironicamente, ça va sans dire) lo spleen esistenziale, contaminando la onnipresente malinconia con dosi massicce di sarcastica irriverenza. Il sound guarda al rock d’autore a cavallo tra anni Ottanta e Novanta, con l’estetica del periodo che domina l’artwork del disco, esso pure "made in Brescia": improntato a toni glam e decadenti, è firmato dal geniale artista Riccardo Tonoletti aka Dorothy Bhawl, le cui opere adornano, tra gli altri, casa e laboratorio della stilista Vivienne Westwood.
Abbiamo intervistato Maria Mirani, cantante (e autrice delle liriche) di Viadellironia. Suoni levigati, testi intelligenti e mordaci come ce ne sono in giro pochi, una grafica spiazzante, la voce "nature": elementi, insomma, che impastano insieme mainstream e indie. Maria, a che pubblico vi rivolgete? Non ci siamo poste il problema, anche se fin dal principio lo abbiamo immaginato consapevole, con l’orecchio "accorto". Avendo adottato un’architettura musicale meno spigolosa che in passato, più pop, può forse capitare che il bacino d’utenza si allarghi. In «Ho la febbre» c’è la presenza vocale di Stefano "Edda" Rampoldi, cantautore "maledetto" (e maledettamente bravo).
Com’è nata la collaborazione? Amiamo Edda da sempre, ma non pensavamo di poter trovare affinità con lui. Poi abbiamo scoperto che è amico d’infanzia di Cesareo, e questa felice casualità ha portato all’incontro. È stata un’esperienza molto bella, per tutte noi. Io, in particolare, mi sono appassionata al modo in cui voci così distanti (sorvegliata la mia, vellutata e ribelle la sua) hanno interagito tra loro.
La ballata «Canzone introduttiva» sarebbe stata adatta (fin dal titolo) come apertura, invece la collocate a metà dell’album. Perché? Gli è rimasto appiccicato addosso un titolo che doveva essere provvisorio. Per il testo (parla di una donna che, preparandosi al patibolo, medita sul fatto di non essersi mai sentita a proprio agio nel mondo costruito a misura di altri, ndr.) avrebbe funzionato come ouverture; ma per la veste da suite, per il suo essere quasi un blues, con un clima d’antan e citazioni letterarie tra il caustico e il decadente, risulta diversa dalle altre canzoni del disco. Ci è sembrata perfetta come intermezzo.
I numi tutelari noti di Viadellironia sono Beatles, Elliott Smith, Afterhours, Nada, Baustelle. Che altro? Il songwriting americano nel suo complesso, alla base anche del lavoro di scrittura del disco. Tuttavia, in fase di produzione, assecondate e guidate da Cesareo, abbiamo smesso quasi naturalmente di badare ai modelli di riferimento, provando ad affrancarci da debiti e tributi.
Come si promuove un disco in epoca di clausura? È difficile. La presentazione avverrà live su Radio Popolare, e sarà un momento bello e liberatorio. Per il resto, non vogliamo attendere passivamente che finisca il lockdown, ma non riusciamo nemmeno a entusiasmarci per lo streaming che imperversa. Chissà, qualcosa ci inventeremo...
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