Cultura

«Valcamonica, il più importante sito europeo d’arte rupestre»

Jean Clottes: «Lo è per le 300mila incisioni datate e per le credenze di coloro che le realizzarono»
Nelle grotte di Chauvet. Cavalli disegnati // THOMAS. T, da commons.wikimedia.org
Nelle grotte di Chauvet. Cavalli disegnati // THOMAS. T, da commons.wikimedia.org
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La Valle Camonica «è un luogo straordinario. È uno dei tre maggiori siti europei di arte rupestre, ma per me è il più importante, perché contiene circa 300mila incisioni datate, e per le credenze da cui erano animati gli uomini che le realizzarono. È la quattordicesima volta che vengo qui: quando si parla dei grandi siti di arte rupestre nel mondo, la vostra valle è sempre citata».

A parlare è Jean Clottes, uno dei più autorevoli esperti mondiali di arte preistorica. Nato nel 1933, a lungo ispettore generale per l’archeologia francese e docente in molte università, il prof. Clottes è intervenuto, a Darfo Boario Terme, al XX Congresso mondiale dell’arte rupestre promosso dall’Ifrao, organizzato dal Centro camuno di studi preistorici e dalla Cooperativa archeologica «Le orme dell’uomo». Clottes parla con entusiasmo delle incisioni camune, ma non solo di quello: racconta, appassionandosi, i viaggi e le scoperte di una vita dedicata a svelare i misteri legati a quelle figure dipinte o incise sulle pietre e nelle grotte.

Tra queste ultime, la grotta francese di Chauvet, dove Clottes ha lavorato fin dal momento della sua scoperta, avvenuta nel 1994: «Mi inviarono subito ad analizzarla. Fu molto emozionante, perché capii di trovarmi di fronte a uno dei più grandi capolavori mai disvelati. Le pitture nella grotta hanno circa 32mila anni: nessuno pensava che potesse esistere un’arte così antica e così bella. La scoperta ha cambiato le ipotesi sull’origine dell’arte: si pensava che i primi uomini disegnassero come i bambini. Invece si è appreso che c’era fin da allora una grande qualità artistica». Soltanto tre anni fa, Clottes ha lasciato l’équipe che studia la grotta.

«Sono vecchio» dice sorridendo, ma a 85 anni la sua energia appare inesauribile. Ha viaggiato ovunque, convivendo con le popolazioni rimaste più a contatto con il mondo naturale. Nel 2007, i Tuareg sahariani l’hanno ammesso nella loro comunità, «in una grande cerimonia, vestito con spada e turbante. È stato un vero battesimo, mi hanno dato un nome tuareg: Almawekil». Ora va spesso in India: «Con una collega indiana abbiamo già scritto due libri, uno in particolare su pitture ritrovate nello stato del Chhattisgarh. L’arte indiana si trova all’interno di ripari; ha circa diecimila anni, e la sua particolarità è nell’essere una tradizione di creazione artistica che continua ancora oggi. Ho trovato rappresentazioni geometriche dipinte un anno fa. Gli abitanti dei villaggi ci hanno spiegato che continuano a realizzare quelle pitture per ottenere la protezione dei loro dèi».

L’elemento religioso è infatti essenziale per tentare di spiegare l’origine e il significato di queste raffigurazioni. «Pitture e incisioni si possono ricondurre a un atto religioso, gli studiosi su questo sono d’accordo. Parliamo soprattutto dell’arte delle caverne, databile tra 40mila e 12mila anni fa. Una forma religiosa importante, durata per oltre 25mila anni». Tipologie sempre nuove. Le questioni da sciogliere, tuttavia, restano ancora molte: «Si scoprono tipologie di disegni sempre nuove. Ci poniamo continuamente domande, sulla loro datazione, sulle tecniche utilizzate». E sul significato simbolico: «È il più difficile dei problemi, perché non si è mai sicuri di trovare la risposta giusta».

 

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