«Unposted», il fenomeno Chiara Ferragni arriva al cinema
Finora non ha mai preteso di esserlo, ma se la 32enne Chiara Ferragni ha «interpretato» nel video-post messo su Instagram il 24 aprile dalla vacanza in Polinesia, in cui si scioglie in lacrime dopo aver visto il suo bio-documentario «Unposted» (poi presentato, pochi giorni fa, nella sezione Sconfini alla Mostra di Venezia), o va candidata all’Oscar come esempio d’attrice da applausi del Metodo Stanislavskij o va denunciata per videotruffa.
Col viso rigato di lacrime, guardando dritta nell’obiettivo come sa ben fare, l’influencer più fenomenale (nel senso d’incarnare un fenomeno) d’Italia e fra le più importanti del mondo, coi suoi 17,3 milioni di follower, si sfrega le lacrime sulle guance e dice: «... ho riguardato per la seconda volta il documentario della mia storia e, boh, sono emozionatissima, mi ha fatto piangere tantissimo, spero che emozioni un po’ anche chi lo guarda... Mi sentivo di dover registrare questo momento perché è un po’ importante e di svolta nella mia vita... Sto piangendo, ma sono felicissima».
Dal clamore che ha suscitato al Lido, «Unposted», scritto e diretto dalla documentarista Elisa Amoruso, prodotto da MeMo Films e Rai Cinema con Amazon Prime Video e diffuso da 01 Distribution il 17, 18 e 19 settembre nei cinema, rischia di diventare uno sbanca-botteghino, o almeno un rito collettivo. Sul sito del bresciano Il Regno del Cinema (Oz e Wiz) sono da tempo aperte, come altrove, le prenotazioni: a più d’una settimana dal debutto un migliaio di biglietti risultava già piazzato.
La Ferragni-story - che, in data non ancora nota andrà poi sul servizio streaming-tv di Amazon - ripercorre in 85 minuti la vita e la frenetica e vincente attività social di questa bionda che la rivista economica Forbes ha definito «L’influencer di moda più importante al mondo». Un lungo cammino: dalle origini provinciali cremonesi, all’apertura del primo blog col nickname Diavoletta87 su DuePuntoZero e Netlog (Facebook, Twitter e Instagram non c’erano), all’incontro con Riccardo Pozzoli e al tuffo nei social in un legame da fidanzata e socia poi interrottosi. Con lui nel 2009 aprì il sito The Blonde Salad (di cui ora è amministratrice unica, così come dal 2018 guida la Chiara Ferragni Collection) cominciando la scalata al mondo del web marketing, collezionando follower e divenendo fenomeno economico-imprenditoriale diventato un «case study» alla Business School dell’Harvard University.
E se Pozzoli è uno che nel mondo degli affari ha dimostrato sempre di saperci fare, Chiara rifiuta l’insinuazione di essere una sua creatura: «In lui ho avuto un business partner, ma da sempre sono stata la mente dietro ogni mia scelta - ha risposto a un hater -. E da quando lavoro in autonomia, lavori e traguardi professionali sono triplicati. Nessuno mi ha creata: questo è solo maschilismo!». Il matrimonio col noto musicista hip-hop Fedez, la nascita del figlio Leone, e ora questa precoce videobiografia, hanno addirittura accelerato la grande corsa di Chiara verso una fama che, piaccia o no, è evidente, seppur basata su una delle discutibili potenzialità del web e dell’autoesposizione.
C'è chi dice che «Chiara non sa far niente», sottovalutando la portata imprenditoriale e creativa della sua attività d'influencer; parola che - come tante in inglese - enfatizza il più banale concetto del fare pubblicità, attraverso storia personale quasi in diretta web, a marchi e prodotti. Certo il fenomeno-Chiara, contraddicendo il titolo del bio-documentario, è ampiamente «posted»; ma lei puntualizza: «Un influencer non è un annuncio pubblicitario, è un lavoro creativo e impegnativo». E redditizio, visti i lussi che le consente.
Ma checchè ne dicano gli haters non tutti potrebbero - per citare un film di Spike Jonze del 1999 - «essere Chiara Ferragni». È bene ricordarlo a chi ha il pregiudizio su quella sua vita «in mostra», apparentemente senza talenti speciali. C’è cascata persino un’attrice-regista brava come Valeria Golino, polemizzando a Venezia su «soldi fatti sulla vacuità» e sullo «sdoganamento d'un comportamento che fino a poco tempo fa tutti ritenevano volgare e ora ci sembra del tutto normale». Si può concordare, ma il giudizio varrebbe per mille altre espressioni della nostra a-morale contemporaneità. E - ammettiamolo - suona snob. Chissà che «Unposted» non spieghi di più e meglio Chiara Ferragni. O sveli che, in realtà, è un cyborg...
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