Cultura

Santi Faustino e Giovita: riparte l’indagine storica sul martirio

Studiosi a convegno per discutere dell’edizione critica della «Legenda major»
Faustino e Giovita in abiti militari («Legenda major», ed. Battista Farfengo, 1490)
Faustino e Giovita in abiti militari («Legenda major», ed. Battista Farfengo, 1490)
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C’è ancora parecchio da scoprire sul volto e la biografia dei due Santi Patroni della città, Faustino e Giovita, martiri cristiani vissuti nel II secolo dopo Cristo. Una narrazione tra storia e leggenda, che ha conosciuto una diffusione straordinariamente vasta, così come altrettanto ampia è l’attività degli esperti, che tuttavia hanno potuto fornire finora edizioni parziali della vicenda.

Resta inedita la «Legenda major», la più variegata nel suo dislocare le tappe del racconto in diverse città, per giungere, dopo una trama degna di una trasposizione cinematografica, al drammatico epilogo a Brescia, con l’esecuzione capitale dei due giovani.

Sul tema è incentrato il convegno «Faustino e Giovita: Il racconto del martirio per l’edizione della Legenda major», in programma in città il 9 febbraio all’Università Cattolica: lì si farà il punto sull’avanzamento delle ricerche. «Le fasi del rapporto continuativo, civile e religioso, tra la città e i suoi Santi protettori, vengono affrontate attingendo agli studiosi bresciani dell’Otto e Novecento, grazie alla sollecitudine dei sacerdoti Giuseppe Brunati, Giuseppe Onofri, bibliofilo raccoglitore di manoscritti, e Paolo Guerrini», spiega Simona Gavinelli, professore associato di Paleografia latina alla Cattolica.

Faustino e Giovita, rispettivamente sacerdote e diacono all’epoca dell’imperatore Adriano, per il loro rifiuto di fare sacrifici agli dei pagani, vengono sottoposti a terribili supplizi e, infine, alla decapitazione, che avverrà sulla via Cremonese, nel luogo in cui  sarebbe sorta la basilica di San Faustino ad Sanguinem (poi diventata Sant’Afra e quindi Sant’Angela Merici).

«Per l’edizione moderna della "Legenda major" in latino - prosegue la prof. Gavinelli -, il gesuita Fedele Savio nel 1896 dovette accontentarsi di una trascrizione ottocentesca, visto che era introvabile l’unica copia trasmessa da un passionario bresciano del secolo XII-XIII, che sono poi riuscita a identificare nel Fondo Fè d’Ostiani della Biblioteca Queriniana. Prima di procedere ad un’efficace traduzione, occorreva fissare un’adeguata edizione critica, rintracciando i manoscritti superstiti e mettendo in evidenza la ricchezza delle fonti. Tra queste, come novità rimarchevole, si segnala un testimone di epoca tardo-carolingia e copiato Oltralpe, per sottolineare i rapporti culturali tra Brescia e i monasteri imperiali; su un versante cronologico opposto, una copia di epoca umanistica e di origine bresciana, che sembra un tributo al rinfocolamento del culto dei Santi Patroni, dopo la loro miracolosa apparizione il 13 dicembre 1438 sugli spalti del Roverotto».

«In questo solco - prosegue Gavinelli - si giustifica la loro iconografia in abiti militari da "cavalieri di Cristo" nell’illustrazione xilografata del primo incunabolo bresciano del volgarizzamento della "Legenda major", stampato nel 1490 da Battista Farfengo». È essenziale perciò, conclude la studiosa, ricomporre in forma complementare la trasmissione della "Legenda major" in lingua volgare, «con una ricerca perfezionata in collaborazione con Diego Cancrini, che è riuscito ad intercettare un significativo manipolo di esemplari di rigorosa origine bresciana».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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