Sanremo 2020, il monologo di Rula un pugno nello stomaco
Il monologo di Rula Jebreal, che è un pugno nello stomaco, inizia con le domande più frequenti rivolte alle donne vittime di violenza nelle aule di tribunale («Aveva la biancheria intima quella sera?», «Trova sexy gli uomini con i jeans») per denunciare «una verità amara, crudele: noi donne non siamo mai innocenti, perché abbiamo denunciato troppo tardi o troppo presto, o perché siamo troppo belle o troppo brutte, insomma ce la siamo voluta».
È toccante il ricordo della sua esperienza da bambina, in orfanotrofio, «dove sono cresciuta - racconta la giornalista e scrittrice nata ad Haifa in Israele da padre con ascendenze nigeriane e arabo palestinesi e madre palestinese - con centinaia di bambine e tutte le sere una per volta ci raccontavamo favole tristi, non favole di mamme che conciliano il sogno, favole di bimbe sfortunate, perché le nostre madri erano state spesso stuprate o uccise o torturate».
I numeri dipingono una realtà spietata: «negli ultimi tre anni 3 milioni 150mila donne sono state vittime di violenze sessuali sul posto di lavoro, negli ultimi due anni 88 donne al giorno hanno subito abusi e violenze, una ogni 15 minuti, ogni tre giorni viene uccisa una donna, sei donne sono state ammazzate solo la scorsa settimana. E nell'80 per cento dei casi il carnefice non ha bisogno di bussare, ha le chiavi di casa».
Scioccante il racconto del dramma della madre: «Mi madre Nadia, quando avevo 5 anni, si è data fuoco perché era stata brutalizzata e stuprata due volte, a 13 anni da un uomo poi dal sistema che l'ha costretta al silenzio. E l'uomo che l'ha violentata aveva le chiavi di casa». Infine l'invito alle donne.
«È necessario parlare, il senso in fondo è nelle parole giuste e nelle domande giuste» E agli uomini: «Lasciateci essere quello che siamo e quello che vogliamo essere. siate nostri complici, nostri compagni, indignatevi con noi».
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