Paolo VI, la barca della Chiesa fra le tempeste del '900
Sono molteplici le pubblicazioni volte ad approfondire senso e rilievo del pontificato di Papa Montini, edite in vista del riconoscimento della sua santità. E certamente molteplici sono i registri sui quali è possibile leggere la personalità di Paolo VI, a partire dal suo magistero e dalla scelta di portare a compimento il Concilio Vaticano II, nonché di porre il suo sigillo su innovazioni di grande portata: «Il popolo di Dio» in cammino, la collegialità episcopale nel governo della Chiesa, l’ecumenismo come espressione di fraternità, il riconoscimento del diritto alla libertà religiosa e della laicità dello Stato, il ripudio dell’antisemitismo, il rinnovamento liturgico, l’utilizzo della lingua volgare come supporto all’inculturazione della fede a livello planetario.
Il dialogo con «l’intera famiglia umana», l’impatto della fede con la storia, il rapporto della Chiesa col moderno: questo il cuore del problema che Papa Montini si trova ad affrontare in un tempo, antecedente l’età post secolare, in cui prende piede il paradigma della mondanizzazione nel quale lo spazio del sacro è destinato a restringersi, sino a rischio di una marginalizzazione. Un tempo di grandi rivolgimenti in cui Paolo VI conduce la «barca della Chiesa» - una delle molteplici figure ecclesiologiche, un’icona di ascendenza tanto neotestamentaria quanto patristica - trovandosi a navigare contro vento, in un mare spesso burrascoso, investito da contrasti e contestazioni portate sia dall’esterno che dall’interno della comunità ecclesiale.
La «barca di Paolo» viene assunta ora da mons. Leonardo Sapienza, reggente della Casa pontificia, in un libro che definirei di «devozione» (edizioni San Paolo) per ripercorrere, attraverso documenti inediti, l’itinerario spirituale di Papa Montini, il suo travaglio interiore, alla guida di una Chiesa pellegrinante tra i marosi di una storia contrassegnata da tumultuose accelerazioni e repentini cambiamenti. Padre Sapienza sarà nella Sala dei Disciplini di Castenedolo alle 20.30 di mercoledì 26 settembre (ricorrenza della nascita di Paolo VI) ad un incontro cui interverranno il vescovo mons. Pier Antonio Tremolada e il fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi - oltre a chi scrive - con la giornalista Annachiara Valle a moderare il confronto.
«Trepidazione» per la missione che gli è stata assegnata, «estrema solitudine», radicamento nella fede, «umile, ferma coscienza di non aver mai tradito il santo vero», questi i sentimenti e le disposizioni che Paolo VI, a poche settimane dalla morte, nel giugno del 1978, ricapitola in una sorta di rivisitazione autobiografica del proprio «ufficio quello stesso di Pietro», in un’era- così quattro anni prima- di «tempeste e transizione».
Papa Montini è consapevole che «il Concilio non ci ha dato, per adesso, in molti settori, la tranquillità desiderata, ma piuttosto ha suscitato turbamenti e problemi». Prende altresì atto che «il mondo cambia :cultura, costumi, ordinamenti, economia, tecnica, efficienza, bisogni, politica, mentalità, civiltà; tutto è in movimento, tutto è in fase di mutamento ,un golpe di qua, una rivoluzione di la». È fermo, tuttavia, nella convinzione che non si può cedere al pessimismo - tutt’altro che un Pontefice incerto o amletico - e che la missione evangelizzatrice dalla Chiesa sfidata da «una accentuata tendenza critica» in ogni campo («filosofico, storico, esegetico, etico, economico-disciplinale , sociale-politico») non può che fare affidamento sulla «libertà dalle indebite e altrui suggestioni» e soprattutto su di una indefettibile «fedeltà a Cristo».
È questa la barra dritta con cui il nocchiero guida la «barca della Chiesa» anche nei casi più eclatanti: lo scisma del vescovo Lefebvre o le polemiche insorte alla pubblicazione della Humanae vitae, casi vissuti da Paolo VI con vigorosa determinazione, pur tra indubbie tensioni. Nel segno di una fedeltà alla Chiesa testimoniata - un esempio tra i tanti - dalle due lettere di dimissioni scritte in tempi non sospetti, il 2 maggio 1965, in caso di malattia invalidante. «Un’ulteriore prova della santità» di Paolo VI, «di amore a Cristo e alla sua Chiesa», come commenta, con devota ammirazione, Papa Francesco.
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