Michele Gazich, il concerto del disco capolavoro al GdB
Michele Gazich è in missione per conto della memoria e della verità. Perciò la sua narrazione ha uno straordinario respiro epico, è un grido di rabbia che si tramuta in canto di lancinante bellezza.
Il disco «Temuto come grido, atteso come canto» - che il violinista e compositore («il più internazionale tra i musicisti bresciani») ha presentato ieri nella Sala Libretti del nostro giornale - è frutto dell’esperienza che egli ha vissuto nell’ottobre 2017 sull’Isola di San Servolo, per oltre due secoli (tra il 1725 e il 1978) il manicomio di Venezia. E che in un ottobre più lontano (nel 1944) fu teatro del «ritiro» degli ebrei presenti nella struttura, poi deportati verso i campi di sterminio.
Accompagnato dal chitarrista Marco Lamberti, Gazich comincia con «Guerra civile» (canzone tratta da «La nave dei folli», del 2008), ponte ideale tra l’impegno di ieri e quello di oggi. Poi accede alla materia ardente di questa nuova avventura musicale, che ha stravolto le sue abituali tempistiche, portandolo a scrivere la notte di getto ciò che di giorno scopriva, per non smarrire alcuna goccia di dolente ispirazione, nessuna emozione suscitata dalla lettura. «L’isola» ci porta dove tutto è accaduto: «Amici, vi parlerò dell’isola/ Qui nessuno ci arriva da solo/ Né porto né approdo sicuro/Isola che non sarà mai casa».
Gazich traduce il disagio in arte, e non per caso Maurizio Matteotti, caposervizio di Cultura e Spettacoli del Giornale di Brescia, introducendo l’incontro ha definito il disco «un capolavoro dalla durezza gentile». Enrico Mottinelli, scrittore e studioso di Ebraismo, ha scelto invece il paragone con «Dora Bruder» del premio Nobel per la Letteratura Patrick Modiano: «Quel libro ci porta a fare i conti con l’assenza insopportabile di una ragazza ebrea, a Parigi. Dopo aver ascoltato Gazich non potremo più pensare a Venezia senza pensare ai suoi personaggi».Il titolo dell’album è una citazione del filosofo Michel Foucault, spiegata in questo modo: «In epoca di post memoria, dunque in assenza di testimoni diretti rispetto a certi eventi, l’artista deve farsi carico di recuperare una narrazione che altrimenti andrebbe perduta».
Mescolando italiano, vernacolo ed ebraico spurio, Gazich usa la sua voce di antica purezza, da bardo, per il canto apotropaico «Maltamè» (con la voce ospite di Rita Tekeyan), per le invettive di «Teste legate» e «Il mare danza», per la circolarità di «Caminanti» (tra Luigi Nono e Antonio Machado), per la cattiveria di «Torquemada». «Anna, te scrivo» - il valzer che chiude disco e serata (tra scroscianti applausi) - è così bello, così pieno di speranza per l’agognato ritorno alla normalità di un paziente «esemplare» che, sebbene ora sappiamo che il sogno rimase tale, viene voglia di credere in un altro finale. L’arte, quando è grande, serve (anche) a questo.
La registrazione dell’incontro di ieri con Michele Gazich in Sala Libretti può essere vista in streaming sul sito del nostro quotidiano (www.giornaledibrescia.it).
Ora lo scrittore di canzoni bresciano è atteso da una presentazione di prestigio di «Temuto come grido, atteso come canto»: venerdì prossimo, 28 settembre, alle 20.45, sarà infatti (sempre con Marco Lamberti) a Palazzo Marino, nell’aula del Consiglio comunale di Milano, in piazza della Scala 2. L’ingresso è libero, ma è necessario prenotarsi inviando una mail a: michelegazichbooking@gmail.com. L’appuntamento è in occasione dell’ottantesimo anniversario della promulgazione delle leggi razziali.
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