Mattotti: «La mia Patagonia, linee per un paesaggio in movimento»
Un fuoriclasse del disegno, il suo sguardo immaginifico e penetrante che incontra una terra mitica, la elaborazione successiva di immagini personalissime che la raccontano. La Patagonia di Lorenzo Mattotti - uno dei grandi illustratori del nostro tempo, ma anche versatile fumettista, sceneggiatore e regista cinematografico, nato a Brescia nel 1954 - è prima un luogo dell’anima, quindi uno «spartito paesaggistico» che esalta la magia del luogo diffondendo un’armoniosa musica dei segni.
L’avventura «alla fine del mondo», affrontata nel 2003 con l’amico Jorge Zentner (scrittore argentino, in coppia con il quale Lorenzo Mattotti realizzò il capolavoro «Il rumore della brina», pubblicato in quello stesso anno) ha sedimentato per mesi, prima di diventare una serie di tavole. Oggi, a distanza di anni, è sia un libro, intitolato appunto «Patagonia» (scrigno prezioso di suggestioni senza tempo) che una mostra, curata da Melania Gazzotti ed esposta dal 5 ottobre al 28 novembre allo Spazio Mutty di Castiglione delle Stiviere (l'inaugurazione è il 4 ottobre, per partecipare al vernissage è necessario prenotare a info@mutty.it).
«La Patagonia per me è sempre stato un luogo mitico, un po’ come Samarcanda, essa pure evocativa sin dal nome - dice Mattotti -. Jorge aveva pianificato un viaggio in auto nel Sud per celebrare il mezzo secolo; come un parassita, mi sono appiccicato a lui, con la scusa che anch’io ero prossimo ai cinquant’anni». Il disegnatore rimase colpito dalla natura estrema, «le distese sconfinate, spazi e cieli a perdita di vista, il vento, il vuoto totale, montagne che paiono a portata di mano e che invece non raggiungi mai. Ho provato l’agorafobia, insieme al senso di un’enormità che ti avvolge e ti fa ritenere irraggiungibile qualsiasi meta».
Paesaggi che l'hanno ispirato, ma che al tempo stesso hanno costituito per lui una sfida. «Cercando di ritrovare l’armonia dello sguardo che ho sentito mentre viaggiavo in Patagonia, mi sono reso conto che non avevo idea di come restituire un paesaggio in movimento e che avrei prima dovuto individuare un mio alfabeto grafico per rappresentarlo - racconta l'autore bresciano, che l'anno scorso ha portato nelle sale La famosa invasione degli orsi in Sicilia, suo primo lavoro da regista -. Da qui la rinuncia al colore e l’attenzione per le linee. Non ho trovato un modo realmente efficace per disegnare le balene, incontro meraviglioso avvenuto nella Penisola di Valdés: ne ho preso atto, ho rinunciato a farlo».
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