Scuola

Le nuvole ai bambini. Il fuoco agli anziani

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La vecchiaia arriva improvvisamente, come la neve.

Un mattino, al risveglio, ci si accorge che è tutto bianco.

(Jules Renard)

 

 

L’auto sobbalzò, scatenando le proteste dell’anziana seduta sui sedili posteriori. Era stata avvolta in strati e strati di maglioni e coperte, infine legata con la cintura, che la teneva ben salda al sedile.

Al caldo in quel bozzolo di lana, dalle labbra rugose lasciava scorrer fuori aspri commenti. Il guidatore però non replicava ai borbottii. Stringeva le mani guantate al volante, con una tale fermezza da lasciar intendere che fosse l’ultima cosa alla quale poteva aggrapparsi.

La passeggera capì che le sue proteste rimanevano sospese nell’abitacolo della vettura, quindi si chiuse nel silenzio. Guardò attraverso il finestrino. Cose con un nome che la donna aveva ormai dimenticato sfrecciavano fuori, perdendo forma e confondendosi tra loro. Il suo sguardo acquoso guizzava su e giù, cercando di cogliere un senso in quello che vedeva. 

Il semaforo diventò rosso e l’auto frenò. Le immagini fuori dal finestrino si bloccarono e l’anziana si concentrò per metterle a fuoco. C’erano una casa e un giardino. E lì, nel prato spruzzato di rugiada, una personcina gironzolava spingendo una carriola di plastica rossa piena di foglie autunnali. Camminava dondolando, sempre in cerchio. Forse stava canticchiando qualcosa, ma da lì non si poteva sentire. La creaturina era strana, ma in qualche modo familiare.

La vecchietta ne rimase incuriosita.

Il bambino alzò lo sguardo verso il cielo ed indicò alla madre seduta sotto il portico le nuvole a forma di aquiloni, secchielli, conigli. Anche l'anziana guardò in alto ma non riconobbe alcuna figura nelle nubi, perciò tornò a concentrarsi sul piccolo. Aprì un paio di volte la bocca per provare a dargli un nome, un’identità, ma non ne uscì alcun suono. Il semaforo diventò verde e l’auto si rimise in moto. 

“Un bambino!” esclamò a quel punto lei “Che bel bambino, quel bambino” gongolò, entusiasta ed orgogliosa della parola che aveva ricordato tutta da sola. Il guidatore non le diede corda. Dopo qualche svolta, parcheggiò in un vialetto facendo scricchiolare la ghiaia. Scese dalla vettura, aprì la porta alla passeggera, le slacciò la cintura e l’aiutò a scendere.

Tenendola a braccetto, passetto dopo passetto raggiunsero l’uscio della casupola dal tetto spiovente nella quale la donna aveva sempre vissuto. Lei si fermò sui gradini e alzò gli occhi sulla porta rosa, le tendine bianche, il piccolo portico. 

“Bel posto” farfugliò, guardandosi intorno come se lo stesse vedendo per la prima volta.

“Ti piacerebbe stare qui per un po’?” le domandò l’uomo con un sorriso mesto. L’anziana annuì appena e premette per entrare. Una volta dentro, la porta chiuse fuori il gelo. 

“Aspettami qui”. Il signore andò ad accendere il caminetto e quando tornò non trovò la vecchietta dove l’aveva lasciata. Lei aveva iniziato a gironzolare per la casa, lasciando scorrere le dita ossute sulle lisce pareti di legno, osservando l’arredamento e vari oggetti che pur riconoscendo essere importanti, non ricordava. Arrivò alla fine del corridoio e non esplorò oltre.

Si soffermò davanti ad un dipinto, una ragazza seduta su una sedia che guardava qualcosa alla sua sinistra, tenendo così nascosto il volto all’osservatore. Eppure non aveva bisogno di mostrarlo per trasmettere tutta la sua serenità, la sua calma. Alla donna quell’immagine piacque; non aveva bisogno di capire che cosa fosse per apprezzarla.

“Mamma? Mamma!”. La voce dell’uomo si fece largo nella nebbia che riempiva la testa dell’anziana. D’un tratto un miscuglio di emozioni positive le invase il cuore, ma il non riuscire ad associarle a dei ricordi la rattristò. Suo figlio la raggiunse e, vedendo la sua espressione cupa e incerta, la abbracciò dolcemente. “Andiamo mamma, voglio farti riscoprire il volto nascosto delle cose”. 

Passarono la giornata esplorando la casa insieme, coi cuori pieni di curiosità per i più piccoli dettagli. L’uomo provava pazientemente ad insegnare il nome degli oggetti alla vecchia madre, lei si impegnava ad impararlo. Dopo pochi istanti, però, se ne dimenticava di nuovo. Proseguirono così fino a cena, dove la donna provò a mangiare la minestra con la forchetta, suscitando nel figlio una lunga risata. Poi lui la accompagnò nel salotto, dove la fece sedere sulla sua poltrona davanti al caminetto e lì la lasciò per andare a prepararsi per la notte.

Il fuoco proiettò lunghe ombre sulle pareti e sui dipinti che vi erano appesi. Come essi avevano rappresentato la realtà interiore della loro pittrice durante la gioventù, lo stesso facevano in quel momento, nella sua vecchiaia, perché in quel gioco di luci e tenebre sopra al camino, ogni paesaggio mutava, confuso. L’anziana pittrice non alzò lo sguardo, ma si concentrò sul fuoco e il fuoco per lei iniziò ad assumere innumerevoli forme. Con gli occhi stanchi pieni di stupore, l’anziana ammirò le vampate incandescenti avvolgersi e disfarsi, combattersi e placarsi, mostrandole cose che aveva dimenticato o che non aveva mai visto. E quando il figlio tornò in salotto, si sedette sulla poltrona vicina senza fare rumore, fissando con amore quella madre che si meravigliava ancora davanti alla fiamma della vita.

 

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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