La Rai Anni '70 nella mostra visionaria del bresciano Vezzoli
«La cultura è il riflesso del sistema»: la frase, dell'opera d'arte «Assioma» in bianco al nitro su bachelita incisa di Vincenzo Agnetti, può forse spiegare in sette parole il senso di «Tv 70: Francesco Vezzoli guarda la Rai», mostra simbolica, iconica, visionaria se mai ce ne è una che è stata allestita dalla Fondazione Prada nella sede di Milano, in largo Isarco.
Proprio questo quadro, esposto nella galleria Nord della monumentale struttura, dice molto di una rassegna, aperta da oggi fino al 24 settembre, in cui sono stati sapientemente selezionati produzione televisiva, installazioni, pitture anni Settanta. Una angolazione tutta particolare, quella del bresciano Vezzoli oggi milanese d'adozione ma in realtà cosmopolita, classe 1971, che con una esposizione imponente, colta, complessa - che saccheggia il ricco archivio delle Teche Rai - ricostruisce la cultura dell'epoca: una televisione pubblica che parla di morte, terrorismo, violenza, ma anche di musica, svago, divertimento.
E poi l'alternanza e il collage con lavori di Guttuso, Burri, de Chirico per dirne solo alcuni. E per il visitatore l'effetto è straniante, stordente fra le voci sovrapposte di telegiornali e di varietà e i colori intensi.
«È una mostra a cui ho pensato tutta la vita, nei sabati notte dopo la discoteca - ha sottolineato l'autore - è stata una installazione molto impegnativa. Vista oggi la tv di una volta, pensiamo allo scontro fra Mario Monicelli e Nanni Moretti sulla commedia, appare surreale, impensabile, assurda. È una tv imperdibile se uno guarda oggi alla "borotalchizzazione" dei talk-show, non c'è più un confronto magari aspro ma comunque corretto. Nella rassegna racconto una tv vista dalla mia prospettiva. È un percorso rischioso e denso, duro ma anche divertente e surreale. Un'indagine vera sul costume contemporaneo e sulle sue radici, ma con un senso critico sull'oggi».
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