Il grandioso naufragio di Damien Hirst a Venezia
François Pinault dice che il risultato «era spettacolare, clamoroso e sconcertante» pensando alle prime opere del «maestoso progetto» che Damien Hirst gli aveva fatto vedere alcuni anni fa.
Termini che ben indicano la temperatura della mostra che l'artista britannico, al termine di un percorso ideativo iniziato una decina di anni fa, ha allestito nelle due sedi lagunari del magnate francese, Punta della Dogana e Palazzo Grassi, intitolata «Treasures from the Wreck of the Unbelievable» (Tesori dal naufragio dell'Incredibile), curata da Elena Guena.
Un’esposizione di quasi 200 opere, dal 9 aprile al 3 dicembre, che rappresentano una cifra totalmente nuova nella carriera di un artista noto al grande pubblico per le carcasse di squali sotto formaldeide («The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living», 2004) o il teschio tempestati di diamanti («For the Love of God», 2007) e per avere organizzato, nel 2008, un’asta da Sotheby’s che incassò 111 milioni di sterline.
Hirst offre ora un progetto di totale rottura, destinato a far discutere, non solo gli addetti ai lavori. L'artista britannico si mette in gioco, anzi sembra voler giocare, quasi avesse tra le mani un’enciclopedia, con i segni delle civiltà recuperati dalle acque dopo il ritrovamento di un leggendario vascello inabissato nell'Oceano Indiano, l'Apistos (Incredibile), quasi duemila anni fa. Nella stiva, la collezione di sculture, gioielli, monete e manufatti provenienti da ogni parte del mondo appartenuta al ricchissimo collezionista, Cif Amotan II, liberto originario di Antiochia.
Senza una percorso definito, la mostra di Hirst, novello archeologo che si muove tra fantastico, apparente reale - spade, elmi, utensili - e demoni produttori di incubi, ma anche rigeneratori di speranze, si snoda tra i due palazzi annunciata da due gigantesche sculture, simboli dell'eterna lotta tra l'uomo e gli animali mitologici, come i serpenti marini, poste una sul Canal Grande, davanti a palazzo Grassi, e l'altra davanti all'ingresso di Punta della Dogana, poco distante dalla Basilica della Salute. Una terza è sotto il portico che si affaccia sul bacino di san Marco.
La visione è un continuo spiazzamento, un continuo corto circuito tra ciò che appare e ciò che forse è. Inutile chiedersi quanti dei reperti che sembrano tali effettivamente siano antichi.
Anche quelli che sembrano apparire come prodotti del contemporaneo - busti raffiguranti Mickey Mouse, trasformer, personaggi del Libro della Giungla disneyano, un autoritratto, coperti di conchiglie, coralli, licheni marini - potrebbero essere in realtà riemersi dal fondo dell'Oceano.
A dare testimonianza, per altre statue, ci sono le foto, anch'esse maxi, di fondali d'acqua cristallina con sub impegnati nell'opera di recupero delle opere.
Hirst, in sostanza, quasi come in un racconto di Borges, crea non soltanto le opere ma - come rileva Martin Bethenod, direttore delle due sedi espositive - «anche l'universo da cui esse procedono, le condizioni geografiche, culturali, temporali della loro origine reale o immaginaria, della loro nascita, della loro metamorfosi e della loro rinascita oltre (o prima) l'oblio, la sparizione e la morte». Un mondo dove la gigantesca statua in resina dipinta alta più di 18 metri (Demone con ciottola), che domina l'atrio di Palazzo Grassi, si accompagna a piccoli monili, a monete d'oro, a busti di donne, in una sala, che rimandano esplicitamente al Surrealismo.
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