Cultura

I cent’anni del Milite Ignoto

Il 28 ottobre 1921 Maria Bergamas sceglieva la salma senza nome da tumulare al Vittoriano, simbolo dei caduti della Prima Guerra Mondiale
Il convoglio con il feretro del Milite Ignoto: il viaggio durò cinque giorni con 120 fermate
Il convoglio con il feretro del Milite Ignoto: il viaggio durò cinque giorni con 120 fermate
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Curva sotto il peso del lutto, Maria Bergamas lascia il suo banco nella basilica di Aquileia e si dirige verso le undici bare allineate. Su ogni feretro sono posati il Tricolore dei Savoia e un elmetto. Maria è una popolana nata a Gradisca di Isonzo 54 anni prima. Vestita di nero, il viso coperto dal velo, in questo momento rappresenta tutte le madri italiane che hanno perso un figlio nella Grande guerra. Il suo, Antonio, è caduto sull’Altipiano di Asiago. Suddito austriaco, si era arruolato volontario nell’esercito italiano. Un irredento. Maria deve scegliere il Milite Ignoto, i resti di un soldato sconosciuto da tumulare nel Vittoriano a Roma, simbolo di tutte le vite perse nel macello della Prima guerra mondiale.

Maria Bergamas e la scelta simbolica

La donna abbraccia le bare una per una, sulla seconda appoggia lo scialle, davanti alla decima si accascia gridando il nome del figlio. Sarà questa a prendere la via della Capitale. È da poco passato mezzogiorno di venerdì 28 ottobre 1921. Un secolo fa. La traslazione della salma, il suo viaggio in treno da Aquileia alla basilica di santa Maria degli Angeli a Roma e poi al Vittoriano, è uno degli avvenimenti più intensi e simbolici della nostra storia contemporanea. Forse il momento più unificante, quello in cui tutti gli italiani si sono riconosciuti come nazione, accomunati da una stessa identità fondata sul dolore, la pietà, la speranza. Un popolo che elaborava il lutto.Maria diventava la madre di tutti i Caduti.

  • La tumulazione al Vittoriano il 4 novembre 1921
    Da Aquileia al Vittoriano: il viaggio del milite ignoto
  • Maria Bergamas
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Il Milite Ignoto il figlio, il marito, il fratello, il fidanzato, il padre di chi aveva perduto un affetto. Durante i cinque giorni del viaggio, dal 29 ottobre al 2 novembre, lungo gli ottocento chilometri del tragitto con tappe a Venezia, Bologna, Arezzo, Roma Portonaccio e Roma Termini, si accalcano milioni di persone. Il convoglio effettua centoventi fermate e si muove quasi a passo d’uomo affinché l’omaggio possa essere corale. La gente prega, si inginocchia, fa il segno della croce, piange, ricorda, getta sul treno fiori, corone, nastri, ghirlande, foto, rosari, scialli. All’arrivo ci vorranno venticinque camion soltanto per trasportare fiori e corone.

L’idea di ricordare il Caduto senza nome era stata lanciata l’anno prima dal colonnello Giulio Douhet sull’esempio francese. Le ferite del conflitto erano ancora aperte. Un intero popolo attendeva di sublimare il sacrificio di 650mila soldati morti. Oltre settemila i lutti bresciani. In quei primi anni del dopoguerra stavano sorgendo ovunque in Italia monumenti, cippi, viali delle rimembranze per celebrare il sacrificio delle vittime. A centinaia, nelle città come nelle piccole località di provincia. Pensate ai paesi del Bresciano: tutti hanno un segno.

Il viaggio del Milite Ignoto

Il treno con la salma del Milite Ignoto parte alle 8 del 29 ottobre da Aquileia (le altre dieci vengono tumulate nel cimitero di guerra dietro la basilica: alla sua morte, nel 1954, si aggiungerà la tomba di Maria Bergamas). Alle 9 del 2 novembre l’arrivo a Termini. Ad attendere il Milite ci sono, fra gli altri, Vittorio Emanuele III e il presidente del Consiglio, Ivanoe Bonomi. Il corteo delle autorità accompagna il feretro nella basilica di santa Maria degli Angeli dove resta anche il 3 novembre, ricevendo l’omaggio di una folla ininterrotta. La mattina del 4 la cerimonia solenne della traslazione al Vittoriano, mentre in tutta Italia si celebra nel nome del Caduto senza nome l’anniversario della vittoria sull’Austria.

Il ricordo di Brescia al Vantiniano

«Nessuno conosce la madre sua, ma Egli ha tante madri quante sono le madri d’Italia, ma Egli ha tanti fratelli quanti sono i figli d’Italia. Nessuno sa chi Egli sia, ma il suo nome è a tutti noto. Il suo nome è Popolo». Quello che «chiude in sè la fiamma del Genio, esercita le virtù nascoste del sacrificio e del silenzio, vero sale della terra, per il quale l’Italia si conserva e feconda». Così il 3 novembre 1921 il sindaco di Brescia, Luigi Gadola, l’Associazione madri e vedove dei Caduti, l’Associazione nazionale combattenti (Anc) e gli altri sodalizi dei reduci, invitavano i cittadini a partecipare alla cerimonia del 4 Novembre. Con lo spirito rivolto a Roma, dove si sarebbe tumulato il Milite Ignoto alla presenza anche di una delegazione bresciana dell’Anc.

Il tono e le parole (maiuscole comprese) del manifesto fatto affiggere sui muri della città dal Comune dicono molto sul sentimento sincero di quei giorni, confermato l’indomani dalla straordinaria partecipazione unitaria di Brescia, oltre le divisioni politiche che laceravano la società locale. Il 4 Novembre, dunque, la città fu chiamata a ricordare la vittoria e le sofferenze che era costata. Più di settemila morti, decine di migliaia tra feriti e mutilati. Quel venerdì mattina il corteo partì da piazza Loggia, sfilò lungo via Dieci giornate, corso Palestro, via Giuseppe Verdi (adesso via Pace), corso Garibaldi, via Milano per approdare al cimitero.

«Tutte le case sono imbandierate, tutte le finestre festanti, a tutti gli sbocchi delle strade sosta un folto stuolo di cittadini», scriverà l’indomani il quotidiano liberale «La Provincia di Brescia». Lungo il viale del cimitero «sono state innalzate antenne ornate di edera portanti trofei composti di tricolori, di armi e di elmetti». La cerimonia si svolse nell’ala est del Vantiniano, al camposanto militare. In mezzo era stata innalzata una grande croce rivestita di verde da cui pendeva un drappo tricolore. Tutto intorno erano schierati i soldati in rappresentanza dei presidi ospitati in città, il gruppo delle autorità, i mutilati, le vedove, i cittadini. Alcuni orfani di guerra portarono sull’altare canestri di fiori. Il cappellano militare celebrò la messa in un clima di grande commozione e solennità.

Il suono mesto delle campane si alternava agli squilli delle trombe. Alla fine, riporta il giornale, «la corona della città di Brescia viene appesa alla grande croce che torreggia in mezzo al cimitero dove riposano in pace in una luce di gloria i fratelli d’armi, gli eroici combattenti d’Italia, sulle cui fosse le mani innocenti degli orfani di guerra spargono fiori, simbolo della rinnovata riconoscenza del popolo di Brescia», che confida «nella rinascita piena della Patria». Nasceva ovunque in Italia il culto dei Caduti come consolazione collettiva per i lutti e le sofferenze, strumento di costruzione della memoria pubblica, ma anche arma di lotta politica e mito fondante del fascismo.

La ricorrenza 

Un fremito di commossa, corale e autentica partecipazione attraversa tutta l’Italia. Come mai più nella nostra storia. Ci sono due libri, fra gli altri, che descrivono quei giorni, fra romanzo, ricerca storica, sentimento poetico «Ballata senza nome» di Massimo Bubola (Frassinelli) e «La storia (quasi vera) del Milite Ignoto» di Emilio Franzina (Donzelli). Come 10 anni fa, da domani al 2 novembre il Treno della Memoria, allestito per l’occasiobe dalle Ferrovie dello Stato, replicherà il viaggio di allora da Aquileia a Roma con le stesse tappe. Lo stesso ministero della Difesa ha organizzato una serie di eventi celebrativi per il centenario che ricorre in queste ore.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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