Cultura

«Dalla lungimiranza di Paolo VI, una collezione unica al mondo»

La curatrice Micol Forti sulla raccolta d’Arte moderna e contemporanea dei Musei Vaticani
La sala Matisse dei Musei Vaticani
La sala Matisse dei Musei Vaticani
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La Collezione d’Arte moderna e contemporanea dei Musei Vaticani e la Collezione Paolo VI - Arte contemporanea di Concesio sono sorelle, figlie di una medesima e lungimirante idea di concepire il rapporto tra la Chiesa e la cultura contemporanea, perpetrata da Papa Montini sin dagli anni che precedettero il suo Pontificato. Lo racconta Micol Forti, curatrice dell’importante raccolta vaticana, che sabato 17 aprile sarà ospite virtuale del Museo di Concesio nell’ambito del ciclo di webinar «Custodi di bellezza. Racconti dai musei di arte sacra contemporanea», per illustrare la storia e l’evoluzione della raccolta da lei diretta.

Dott.ssa Forti, mentre parliamo i musei e i luoghi di cultura di tutta Italia sono chiusi al pubblico, ma con l’appuntamento di sabato 17 Lei promette di farci viaggiare nella storia della Collezione che dirige dal 2000...
Sarà un racconto basato su due punti fondamentali: il primo legato alla filosofia con cui Papa Montini costituì la Collezione, che - pur nascendo come privata, viene da lui immediatamente concepita per essere donata ai Musei Vaticani; il secondo per illustrare come la raccolta sia cambiata dopo la sua donazione ai Musei, poiché, a differenza di altre nostre collezioni (come, ad esempio, quelle del Museo Gregoriano Egizio, Gregoriano Etrusco o Pio Clementino che sono definitive - noi ci occupiamo della conservazione), quella d’arte contemporanea è stata concepita da Montini per essere corpo vivo, che evolve e si arricchisce di nuovi elementi in relazione al tempo e alle epoche. Oggi noi lavoriamo sulla base di questa precisa indicazione di Paolo VI, che disse: «I Musei non devono essere cimiteri, bensì luoghi vivi». Il risultato? Un progetto collezionistico unico al mondo per committenza e relazione col contesto, che non trova paragoni né all’interno della Chiesa, né in Italia.

Come si è evoluta nel tempo la raccolta e quali sono i criteri di selezione in fase di implementazione?
I macro-criteri sono sostanzialmente tre. Il primo riguarda la natura storica della Collezione: selezioniamo le opere di maggiore interesse nello spirito della raccolta o incrementando le sezioni che necessitano di essere arricchite; in seconda battuta cerchiamo di acquisire documenti e bozzetti che testimoniano l’azione della Chiesa nella storia dell’arte. Ne sono un esempio gli schizzi per le porte della Basilica di San Pietro o per il Duomo di Milano, a cui parteciparono artisti come Lucio Fontana. Questi documenti non vengono esposti al pubblico bensì arricchiscono fondi e depositi a disposizione di studiosi e ricercatori. Ultimo, ma non meno importante, criterio: sulla scia dell’esempio montiniano fortemente vocato al dialogo con gli artisti, intratteniamo rapporti con autori nostri contemporanei.

Qualche esempio?
Quasi tutte le opere del Padiglione Vaticano della 55ª e 56ª Biennale d’Arte di Venezia (rispettivamente del 2013 e del 2015) sono state acquisite in Collezione; mentre tra il 2015 e il 2018 abbiamo istituito un fondo fotografico, chiamando a raccolta 9 fotografi di levatura internazionale - tra cui Martin Parr, Mimmo Iodice, Rinko Kawauchi o Bill Armstrong - che hanno trascorso un periodo di residenza nelle nostre sedi, realizzando opere che interpretano la nostra eredità. Un capitolo a parte sono le donazioni da parte degli eredi, come il nucleo di opere sulla genesi della Cappella di Vence realizzate da Matisse e donate nel 1980 dal figlio.

Un’evoluzione rapida e costante, se pensiamo che Papa Montini la costituì in soli 9 anni, tra 1964 e il 1973.
Esatto. Il nucleo iniziale, inaugurato il 23 giugno 1973 alla presenza di Papa Montini, contava 1500 opere. Oggi la Collezione ingloba 9000 pezzi di pittura, scultura, fotografia, grafica e documenti, di cui solo 450 pezzi sono esposti al pubblico. Tra i nomi di spicco: Bacon, Chagall, Carrà, de Chirico, Manzù, Capogrossi, Fontana, Burri.

Una storia, quella della Collezione da Lei diretta, che ha incrociato quella della "nostra" Collezione bresciana.
Assolutamente. Le due raccolte vantano molti autori in comune e raccontano il rapporto di amicizia e scambio di visioni tra Papa Montini e gli artisti. L’esistenza della Collezione bresciana testimonia come quella romana non sia frutto soltanto di un’idea "politica", bensì sia il punto d’arrivo di un percorso partito dal Nord Italia, che nella strada verso il Pontificato ha assorbito e dialogato con la cultura internazionale. È sulla base di questa coerenza che Papa Montini ha costruito la saldezza del suo progetto collezionistico, poi donato in blocco ai Musei Vaticani.

 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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