Cannes, tredici minuti di applausi per il Buscetta-Favino
Un'accoglienza davvero ottima, forse anche superiore alle attese della vigilia, per la premiere mondiale del film di Marco Bellocchio Il traditore in gara, unica pellicola italiana, per la Palma d'oro al Festival di Cannes, da ieri in 350 sale al cinema in Italia con 01 Distribution.
Il nome «Marco» ritmato dal pubblico in sala, l'abbraccio affettuoso tra gli attori, il protagonista Pierfrancesco Favino, Luigi Lo Cascio e tutti gli altri. «Vi devo davvero ringraziare di questa accoglienza, è stata un'esperienza meravigliosa», ha detto Bellocchio. Gli applausi sono durati moltissimo, circa 13 minuti, tra le migliori accoglienze dei film a Cannes quest'anno.
Tutto ruota intorno a Buscetta, a quel periodo cruciale dell'inizio anni '80 quando alla mafia antica si oppongono i corleonesi di Totò Riina, alla sua decisione di parlare a Giovanni Falcone, al maxi processo a Palermo.
Pierfrancesco Favino con capacità mimetica si è trasformato in Buscetta, un boss che amava godersi la vita, vanitoso, carismatico «una grande personalità, secondo ogni documentazione fatta prima delle riprese», racconta il protagonista che forse per sentire meglio il personaggio ancora addosso si è presentato con un look vagamente vintage, nei colori e nello stile di abito e camicia.
Dice Favino: «Sono ingrassato 9 chili, ma non è virtuosismo, mi serviva ricordare la ruralità della mafia, questi stomaci rotondi, l'aria tozza nonostante il tentativo di sfinirla con i gabardine e quei chili in più mi hanno cambiato il respiro e il modo di guardare gli altri. Per uno come Buscetta gli occhi degli altri sono importantissimi e infatti ha cominciato a farsi plastiche già negli anni '70, quando ancora non era un potente. Non è stato solo cercare di assomigliargli, ma di avere la sua stessa energia. Del resto la leggenda lo rincorre, si è costruito una memoria di se stesso dai libri alle interviste televisive, dimostrando di essere anche un fine stratega della comunicazione. E io nell'interpretarlo mi sono sempre domandato a cosa credere e a cosa non credere di quello che via via sapevo di lui. Al romanticismo, all'amore per la famiglia, all'idealismo? Sono anche i miei valori, ma certo non si è boss per niente e lui non era un figlio della mafia, ma ha scelto a 17 anni di entrarci sapendo che era la scelta per tutta la vita, dunque rendere questo lato è stato la mia vera sfida».
Bellocchio, che nella sua filmografia ha precedenti storici importanti come Buongiorno notte sul rapimento Moro o Vincere su Mussolini ed è appassionato di storia, ha spiegato che per Il Traditore c'è stato un altro approccio - l'idea venuta da altri (il produttore Beppe Caschetto di origine siciliana con Rai Cinema) - e che era interessato a fare un «film popolare, con una sua semplicità. La mia unica preoccupazione era essere anticonvenzionale, passare dalla cronaca all'epica, mettere in scena la teatralità del maxiprocesso, raccontare la sua tragedia di padre di figli perduti».
La ricostruzione dei fatti è precisa, la sceneggiatura di Ludovica Rampoldi, Valia Santella, Francesco Piccolo e dello stesso Bellocchio, arrivata all'11esima stesura, mette in fila dalla riunione dei mafiosi vecchi ed emergenti nella villa di Stefano Bontade il 4 settembre 1980 alla fine di Buscetta, passando per l'estradizione dal Brasile, il primo maxi processo, la strage di Capaci, il processo contro Andreotti, «non disperdere la memoria è una delle cose importanti che può fare il cinema perché tanti sono ancora i misteri e le verità nascoste anche su questa storia».
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