Atlante dei Classici Padani, la guida alla «Piana del Disastro»
Costruire una casa ispirandosi alle ville del Palladio e appiccicarla a un capannone è un po’ come comprare un abito da cerimonia in un outlet e poi abbinarci una cravatta di Marinella: l’insieme è comunque pessimo. Quanto c’è di bello viene risucchiato da un contesto inappropriato. Perché se è vero che ognuno ha il proprio gusto, lo è altrettanto che il senso estetico si basa su canoni non discutibili. Con buon pace di chi, il senso estetico, non ce l’ha.
Ma se vedere un uomo che gira in città con pinocchietti e infradito è un fastidio che dura tutto sommato i pochi secondi dell’incontro, gli scheletri di capannoni abbandonati che puntellano la nostra pianura sono ben altra cosa. Certo non ci sono solo i capannoni, ci sono anche i centri commerciali, le palme (vere ma soprattutto finte), i sushi wok, le tangenziali, i tralicci, le chiese (quanta tristezza), i cartelloni pubblicitari, le statue neoclassiche, i compro oro, le piscine vuote e molto, molto altro.
Mancava un catalogo degli orrori che puntellano la nostra terra. La Pianura Padana, la Megalopoli padana, la Padania, la Macroregione del Nord, Piana del Disastro, chiamatela come volete, ma tutto questo lo trovate documentato nell’Atlante dei Classici Padani, naturale evoluzione cartacea di Padania Classics, il progetto di ricerca sul paesaggio contemporaneo con a capo l'artista bresciano Filippo Minelli. Il risultato è un corposo volume fotografico da 720 pagine, edito da Krisis Publishing, costa 60 euro, per ora è in vendita solo online sul sito della casa editrice, da settembre sarà in tutte le librerie: le fotografie sono di Minelli, i testi del nostro collega Emanuele Galesi, il progetto grafico è di Francesco D’Abbraccio e Andrea Facchetti. Il progetto è stato finanziato anche attraverso una campagna di crowdfunding: attorno ai Classici si è raccolta negli anni una piccola comunità (la pagina Facebook dedicata ha superato i 9mila like) che sta contribuendo al tam tam sul libro. Tanto che c'è chi posta online fotografie con l'Atlante in bella mostra in casa, davanti a un capannone, per strada, e chi condivide fotografie dei paesaggi dell'assurdo.
Padania Classics, spiega Galesi nell’introduzione, «è il marchio del delirio, della cementificazione, del consumo di suolo, della dispersione urbanistica, della schizofrenia; ha messo un sigillo sull’anarchia edificatoria e sulla cannibalizzazione del territorio». Il campo di azione della ricerca si è concentrato su Lombardia, Piemonte e Veneto; ovvero le tre regioni che sono state al centro di un progetto politico separatista culminato con la Dichiarazione di indipendenza celebrata nel 1996 dalla Lega Nord: una lunga e dettagliata sezione introduttiva ripercorre proprio il percorso Carroccio/Padania.
Galesi parla di una «sensazione imprecisata di disagio, eppure familiare. Un orizzonte disarticolato, quotidiano e conosciuto, rimosso forse per imbarazzo, forse per un certo spaesamento, forse per la mancanza di una definizione». Come dargli torto? Alcuni paesaggi ricordano le tele di Giorgio De Chirico, una realtà metafisica dove tutto può stare insieme: il capannone, la piscina, una colonna in finto marmo, una santella in giardino, una palma.
Proprio alle palme è dedicato un intero capitolo. Perché priva di una simbologia ufficiale universalmente codificata e accettata, «la Macroregione ha sviluppato al suo interno alcune icone più sottili, discrete, la cui presenza si è infiltrata nel paesaggio in maniera quasi invisibile. Nella Macroregione le cose ci sono in quanto ci sono e con la loro presenza acquisiscono significato». È, appunto, il caso delle palme. Che con la nostra terra non c’entrano nulla, eppure ci sono. Non si sa il perché.
Un altro capitolo è dedicato alle «Cattedrali del Disastro», cioè agli edifici incompiuti che si incontrano ovunque e in misura sempre maggiore, mentre «Dal Macro al profano» si concentra su quelle chiese quasi sempre in cemento armato che tutto portano alla mente tranne il senso dell’infinito.
Per Giovannino Guareschi, «i fiumi che si rispettano si sviluppano in pianura, perché l’acqua è roba fatta per rimanere orizzontale, e soltanto quando è perfettamente orizzontale l’acqua conserva tutta la sua naturale dignità. Le cascate del Niagara sono fenomeni da baraccone, come gli uomini che camminano sulle mani». Guareschi era anche convinto che prima fosse stata inventata la bicicletta e poi la pianura. Ma se il papà di don Camillo si mettesse in sella oggi probabilmente si trasferirebbe in montagna.
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