Ambra, nuovo film: «Raccontare il negativo con intenti positivi»
«Penso che questo sia un film per tutti. Rappresenta la buona educazione, che dovremmo recuperare, perché raccontiamo un fatto scomodo in un modo così bello che puoi andare al cinema con i tuoi figli, con il tuo compagno o la tua compagna, da solo..., va ugualmente bene». Lo dice Ambra Angiolini, protagonista - insieme a Serena Rossi, Ilenia Pastorelli e Silvia D’Amico - dell’action comedy «Brave ragazze», scritto e diretto da Michela Andreozzi, da giovedì 10 ottobre nelle sale con Vision Distribution.
Il film è ispirato a un fatto realmente accaduto in Francia negli anni ’80: quattro amiche, alle prese con i soldi che non bastano ed uomini deludenti e maneschi, s’improvvisano rapinatrici di banche, travestendosi da uomini, con tanto di look che richiama i Duran Duran. «Interpreto Anna» continua Ambra: «Una donna informale, per il periodo che viene raccontato. Ha deciso di vivere la vita come viene, senza essere legata a stereotipi. Non cerca per forza il lieto fine, ma è radicata nella quotidianità. Poi sbaglia e il film lo rimarca: si possono raccontare fatti negativi con intenti positivi».
Un altro ruolo nuovo. Quanto le piace mettersi alla prova?
Tanto. Con Michela Andreozzi avevamo lavorato insieme per tanti anni in tv a «Non è la Rai». Lei era in redazione e prestava la voce a noi ragazze. Non a me, ma ha fatto cantare bene tante altre. Ero ammirata dalla sua creatività, già in quel periodo si capiva ch’era un vulcano di idee. Dopo che ho visto la sua traiettoria mi sono sentita meno sola in questo percorso ad ostacoli, perché anche lei, come me, ha rischiato in vari generi: dal teatro alla scrittura al cinema. Quando mi ha chiamata per questo film ho detto subito di sì.
Oggi con i social è cambiato tutto. Rimanendo agli anni ’80, periodo nel quale è ambientato il film, c’era meno esibizionismo?
C’era più pudore. Un esempio: le parolacce le dicevo anch’io, ma di nascosto, perché i miei genitori erano contrari; erano guai sul serio. L’ammonimento era: «Non si dice!». Quella frasetta lì, che in tante cose ci ha fatto molto arrabbiare, andrebbe recuperata. Oggi si parla troppo, si urla troppo e a me non sta bene. Il film ha un buon pregio: non c’è turpiloquio. Non c’è sporcizia verbale, perché si possono ugualmente dire le cose.
Questo è fondamentale anche per chi, come lei, è mamma?
Anch’io, da quando ho iniziato ad apprezzare di più certe cose e altre meno, ho cominciato a recuperare un minimo di ordine mentale.
Si è immedesimata in questa sorta di rivolta alla Robin Hood dei vari personaggi del film?
Io, più che rubare ai ricchi per dare ai poveri, quello che ho in eccesso lo do agli altri. Non perché sia ricca, ma perché sono una donna più piazzata sia a livello economico sia a livello sociale: «rubate» a voi stessi, se ne avete in più, e date. Ma dirlo agli altri è riduttivo: se non cominci tu, sicuramente, gli altri non ti vengono dietro...
Uno dei suoi amori è il teatro. Ha nuovi progetti?
Sì. Debutterò il prossimo anno con «Il nodo» per la regia di Serena Senigalli. È un testo forte sul bullismo che mi appassiona molto. Al mio fianco Ludovica Modugno.
Dato l’argomento, porterà anche i suoi figli a teatro?
Loro conoscono già il testo, perché leggono i copioni ancora prima di me: io ho sempre poco tempo. Poi, Jolanda è incredibile: una volta è venuta con me su un set e mi ha detto: «Mamma, secondo te è normale che mentre voi sparate non ci sia nessuno che esca da un negozio? Che non si vedano persone in giro?». Ed io: «Ma non dovresti essere a scuola, adesso?» (e ride..., ndr). Lei dice quello che pensa ma con educazione, come fa anche Leonardo: è una medaglia che io e Francesco (papà Renga, ndr) portiamo sul petto.
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