Visita al Mita, se i preziosi tappeti antichi rimandano alla forgiatura dell’acciaio
A Brescia Due, in via Privata De Vitalis, a pochi passi dal versante sud della Stazione ferroviaria, in una delle aree della città destinata, dopo invero troppi anni di attesa, ad assumere un nuovo dinamico e attrattivo volto, è consigliata la visita al Mita, Museo internazionale del tappeto, Centro culturale sorto per lodevole iniziativa della Fondazione Tassara, anche per valorizzare la collezione di tappeti donata dall’imprenditore e finanziare Romain Zalesky, una delle principali raccolte del genere a livello internazionale.
Unitamente all’attività di valorizzazione del patrimonio culturale rappresentato dalla collezione Zaleski, la Fondazione Tassara interviene sul tessuto sociale e artistico di Brescia con progetti emblematici e con erogazioni a favore di enti, scuole e attività del terzo settore.
Sino al 14 luglio visitando il Mita è possibile ammirare, oltre a straordinari esemplari di tappeti persiani antichi, Il Buon Samaritano di Girolamo Romanino. Il dipinto, un olio su tela della prima metà del 1500 dopo passaggi di proprietà vari e periodi di oblio è stato acquisito dalla Fondazione Tassara.
Durante la visita nasce nel vostro cronista un improvviso quanto profondo richiamo alla manifattura siderurgica e metallurgica Tassara di Breno, oggi Metalcam, e al suo secolo di vita in Valcamonica per precisa scelta strategica (legata alle risorse naturali e al diffuso apprezzato know-how dei lavoratori e tecnici camuni del settore) dell’omonima famiglia ligure. Un richiamo tecnico realizzativo che unisce la realizzazione di pregevoli tappeti e quella di complessi manufatti in acciaio. Entrambi richiedono elevate competenze specifiche, dedizione e attenzione quasi maniacale ai dettagli. La mente idealmente richiama veri e propri tappeti d’acciaio, ricordando la lavorazione delle bramme, semilavorati ottenuti per pressatura da giganteschi lingotti manovrati da un mastodontico manipolatore. Certo, decenni fa era davvero difficile immaginare nel cuore della Valcamonica che il valore aggiunto prodotto dalle sinergiche abilità di impresa, tecnici e operai avrebbe contribuito, anche a una così pregevole iniziativa culturale nella città capoluogo.
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