Xylella, Paysandisia e i parassiti killer
Può un microrganismo invisibile all’occhio umano uccidere migliaia di piante o creare un caso giudiziario? E' certo. Negli ultimi anni si è parlato molto della Xylella, quel batterio, veicolato da una cicalina, che ha infettato migliaia di ulivi in Salento provocandone il disseccamento, e finendo addirittura in tribunale. Tutto è iniziato tra la fine del 2013 e l'inizio del 2014, l'Università di Bari e il Cnr hanno subito chiesto che quelle poche decine di piante malate venissero tagliate, ma così non è stato perché agricoltori, comitati e personaggi di spicco della cultura e dello spettacolo si sono messi di traverso. È entrata in campo la procura che ha aperto un'inchiesta, fermando gli abbattimenti e conservando in campo i focolai della malattia. Sono seguiti mesi di polemiche ed indagini, guerra a colpi di parole e carte bollate al Tar, fino a quando gli stessi agronomi della procura hanno confermato le diagnosi dell'università riattivando il piano di eradicazione richiesto dalla Unione Europea . Ma perché un intervento così deciso? Ne abbiamo parlato con Fiorenzo Pandini, fitopatologo e direttore del Centro Analisi Flormercati di Montichiari. «Con il caso Xylella per la prima volta è stata messa in dubbio non la cura, ma la diagnosi - spiega Pandini - e quel che è più grave è che le decisioni sono state prese da chi non ha nessuna conoscenza fitopatologica».
Focolai e prassi. «Contro le malattie batteriche - spiega l'agronomo - gli unici fitofarmaci efficaci sono gli antibiotici che però sono vietati nella difesa delle piante, diversamente dalle batteriosi umane o animali quindi, in caso di infezioni, si eliminano le piante sintomatiche e quelle circostanti. In Puglia però sono stati lasciati sul campo gli olivi infetti e la batteriosi si è moltiplicata. Da una ventina di ulivi malati siamo passati forse a un milione». Il Governo ha anche nominato un commissario per coordinare l’eradicazione. Tutto fermato dalla procura a seguito di denunce e polemiche di chi non è agronomo. Con il procuratore di Lecce che più volte ha affermato che la malattia regrediva spontaneamente. Resistenze quelle di chi, magari in buona fede ma completamente digiuno di nozioni agronomiche e fitopatologiche si trova a difendere le piante, alle quali Pandini in decenni di carriera si è trovato più volte di fronte. Il caso dei platani.
Nel Bresciano, lungo le provinciali, 50 anni fa i platani erano 15mila, oggi sono meno di cento. «Una moria - spiega Pandini - dovuta ad un fungo parassita che provoca il Cancro colorato del platano, malattia arrivata in Italia negli anni Trenta e che si è sviluppata rapidamente. Negli anni Ottanta poi - continua Pandini - è stata emanata una legge che obbligava l'abbattimento del platano malato e i due attigui, anche se apparentemente sani. Quando ne parlai ad un convegno ci fu un'insurrezione». Insomma l'agronomo non ha dubbi, i problemi si risolvono con la conoscenza e la competenza: «La lotta alle malattie delle piante è difficile da far capire, ma è necessario intervenire».
Allarme Paysandisia. Oggi il pericolo nel Bresciano è rappresentato da una bella farfalla che depone le uova (dalle 30 alle 70) nello stipite delle palme. «Le larve - sottolinea Pandini - diventano molto grandi e provocano la morte della pianta». I sintomi sono chiari: la palma attaccata appassisce. «Bisogna chiamare l'agronomo - afferma con forza Pandini - che, come il medico di famiglia, fa una diagnosi. Se l'attacco viene scoperto in tempo può essere fermato con specifiche iniezioni insetticide nel fusto, altrimenti bisogna tagliare la palma e bruciarne i resti». Bisogna quindi non affidarsi al fai da te ma a professionisti, come in caso di dubbi sulla stabilità dei grandi alberi che possono essere pericolosi per svariate ragioni. E ad occhio nudo non dare segnali.Solo una perizia agronomica può dare una risposta.
Elisa Rossi
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