Riforma costituzionale: come cambia il Senato
Addio al bicameralismo paritario e ridisegno del Senato. Si tratta forse della novità principale della riforma costituzionale del governo Renzi, di fatto l’architrave su cui poggia l’intero processo di riforma su cui gli elettori saranno chiamati a esprimersi il prossimo 4 dicembre col referendum costituzionale.
La fine del bicameralismo paritario viene sancita dallo stravolgimento dell’articolo 55 che stabilisce che solo la Camera dei deputati ha funzioni di indirizzo politico e vota la fiducia al governo, oltre a svolgere la funzione legislativa.
Al Senato della Repubblica è attribuita la funzione di rappresentanza degli enti territoriali e di raccordo tra lo Stato, le Regioni e i Comuni; il concorso all’esercizio della funzione legislativa ma in maniera differente; e il raccordo tra Stato, enti locali e l’Ue, oltre alla partecipazione alle politiche europee; la valutazione delle politiche pubbliche e dell’attività delle pubbliche amministrazioni; il concorso all’espressione dei pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge; il concorso alla verifica dell’attuazione delle leggi dello Stato.
Al Senato compete un potere consultivo sul decreto del Presidente della Repubblica con cui sono disposti lo scioglimento anticipato del Consiglio regionale e la rimozione del presidente della giunta (competenza attualmente attribuita alla commissione parlamentare per le questioni regionali).
La riforma costituzionale modifica completamente l’articolo 57. Il Senato - oggi composto da 315 senatori eletti a suffragio universale su base regionale (esclusi i sei dei collegi esteri, che vengono eliminati con la riforma) - sarà composto da 100 senatori, 95 dei quali rappresentativi delle istituzioni territoriali e 5 senatori di nomina presidenziale (cui si aggiungono gli ex Presidenti della Repubblica). I 95 senatori sono eletti con un’elezione di secondo livello dai Consigli regionali: ogni Consiglio elegge un sindaco del proprio territorio e due o più senatori in base alla popolazione regionale (in sostanza 21 sindaci e 74 dalle Regioni).
Di fatto il Senato diviene organo a rinnovo parziale, non sottoposto a scioglimento, poiché la durata dei senatori eletti coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti. Viene dunque sostituita l’elezione a suffragio universale e diretto per il Senato con un’elezione di secondo grado a opera delle assemblee elettive regionali.
La legge elettorale per Palazzo Madama sarà definita attraverso una legge ordinaria e al momento la proposta del presidente del Consiglio è quella di partire dalla bozza Chiti-Fornaro presentata lo scorso gennaio (che, come impianto, ricorda molto la legge valida fino al 1992).
Viene abrogato l’articolo 58 della Costituzione che prevede la soglia di 25 anni per l’elettorato attivo e 40 per quello passivo: in sostanza basterà aver compiuto diciotto anni per entrare a Palazzo Madama ed eleggere il Senato. Viene completamente modificato anche l’articolo 58 sui senatori a vita nominati dal presidente della Repubblica per meriti in campo scientifico, sociale, artistico e letterario. La riforma prevede che il presidente della Repubblica possa nominare fino a cinque senatori, che durano in carica sette anni e non possono essere rinominati.
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