Strage di piazza Loggia, il ricordo di chi quel giorno c’era
Dimenticare è impossibile e altrettanto difficile è cancellare il dolore. Chi il 28 maggio 1974 era in piazza Loggia non può scordarsi quei momenti, chi nelle vie vicine ha sentito lo scoppio della bomba certamente conserva nella mente sensazioni contrastanti, tra il desiderio di aiutare e la voglia di scappare.
E le persone che quel martedì sono rimaste per ore in attesa di sapere le condizioni di parenti o amici ancora oggi vivono l’apprensione e l’angoscia di attimi infiniti.
Ricordi che diventeranno memoria collettiva grazie a tutti coloro che hanno risposto (e a coloro che ancora lo faranno nelle prossime settimane) con testimonianze e documenti all’iniziativa «Piazza Loggia 50», voluta dalla Casa della Memoria e dal Giornale di Brescia in occasione del cinquantesimo anniversario della strage.
I ricordi
«Trovai un posto appena a fianco della colonna dove era collocato l’ordigno: quante volte ho rivisto quella scena nella mia mente, non credevo di essere così vicino - scrive Marco Cima, in quei giorni pronto a ricevere una promozione alla Idra Presse -. Poi lo scoppio, mi mancò il respiro per alcuni lunghi secondi e mi trovai nel mezzo del negozio di Tadini & Verza con la vetrata in frantumi».
I primi soccorsi ricevuti dentro una farmacia, poi la corsa in ospedale e dopo quattro mesi di cure il rientro in azienda. «Venni destinato all’ufficio assistenza e capii chiaramente che il mio sogno di fare il rappresentante si era frantumato insieme a quella vetrina».
Non solo gli operai, ma anche tanti studenti scioperarono il 28 maggio 1974. Tra questi c’era il 17enne Leonardo Leo, rifugiatosi sotto il portico della piazza per ripararsi - come molti altri - dalla pioggia. «Ricordo l’esplosione, un forte spostamento d’aria e un’ombra passare velocissima davanti a me, poi il fumo e dei secondi di silenzio assurdo, irreale - ha scritto a piazzaloggia50@giornaledibrescia.it -. Subito dopo urla e lamenti. E intravidi a pochi metri da me un corpo straziato: era il mio vecchio professore di fisica Alberto Trebeschi».
Visioni e sensazioni che si muovono nella mente, legate a stati d’animo travolti da qualcosa di inaspettato. «Entrai velocemente in piazza Loggia e un mio compagno di lavoro mi disse sconvolto che un altro nostro collega era ferito - ricorda Alberto Gaetano Castrini -. Lo rianimai e vidi (non lo dimenticherò mai) un gruppo strano: un anziano, con l’aria da capo, gelido, comandava solo con la testa altre tre persone giovani. Lasciarono subito la piazza, li seguii fino al palazzo delle Poste in piazza Vittoria dove si sparpagliarono».
La bomba spezzò la routine di una giornata come tante altre: normale e senza aspettative. «La pasta era ormai decisamente scotta e mio padre non era ancora arrivato - scrive Fiorenzo Cresseri, allora 13enne -: fu in quel momento che squillò il telefono e ci comunicarono che era ricoverato, ma stava bene. In ospedale mio padre mi sorrise, ma a fianco c’era un ragazzo completamente bendato, faccia compresa. “El Signùr el gà ardàt zó”, ripeteva mia madre. Io me lo ricordo quel giorno perché avrei voluto continuare a giocare con i soldatini e le macchinine e invece passai bruscamente nel mondo degli adulti».
In ospedale c’era anche Salvatore Milano, un chirurgo toracico che da poco aveva preso servizio al Civile. «In mattinata arrivò in reparto una telefonata che chiedeva a tutti i medici disponibili di recarsi con urgenza al pronto soccorso - spiega -. Ho il ricordo molto vivido di un ferito: aveva un trauma toracico e addominale, e varie ferite su tutto il corpo. Lo operammo e poi fu ricoverato in terapia intensiva. Lo seguii successivamente per il decorso del nostro intervento, era un giovane calabrese di 25 anni, da poco tempo a Brescia: Luigi Pinto morì per la gravità delle lesioni in Rianimazione».
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