L’ex speleologo: «Dissero che ero morto, tornai in grotta a brindare»

La prima persona che lo soccorse nella grotta «Ombèr del büs del zel» fu lapidaria. Puntandogli la luce negli occhi per verificarne le condizioni non gli diede alcuna speranza di sopravvivere. Disse: «Questo è morto». «Io invece gli risposi immediatamente con una serie di parolacce» racconta Franco Vinai, 67enne bresciano che il 5 marzo 1977 cadde mentre stava esplorando la cavità a 150 metri sotto terra situata sull'altopiano di Cariadeghe a Serle.
«Non ricordo molto di quei giorni, perché mi trovavo in quello che i medici definirono un coma vigile – spiega a quasi 50 anni di distanza l’uomo, che si infortunò quando era solo 19enne –. Stavo uscendo dalla grotta e mi trovavo su una scaletta per risalire un profondo pozzo. Mentre mi riposavo appeso alla corda (la spedizione nell’Omber era durata circa 24 ore ndr) l’attrezzo che mi teneva in sicurezza si ruppe. Oppure si inceppò a causa nel fango, non lo sapremo mai. Resta il fatto che precipitai per diversi metri, questo lo ricordo nitidamente, ma fortunatamente i miei compagni sentirono le grida che lanciai volando nel vuoto».
Vinai venne subito raggiunto dagli altri speleologi che attivarono la macchina dei soccorsi. Ci vollero più di 80 ore per estrarlo dalla cavità: «Fu necessario l’intervento di ruspe per spianare la strada fino all’imbocco della grotta – spiega il 67enne, con alle spalle un lavoro in banca e una solida carriera nel rugby –. Si presentarono anche dei cavatori di marmo che allargarono i passaggi con i loro strumenti da lavoro e un medico, che volontariamente venne calato verso di me pur non essendo mai entrato in una caverna in vita sua».

Franco Vinai rivide la luce la sera dell’8 marzo: «Mio fratello Mario, che poco prima era nell’Omber con me, fu in prima linea nel coordinare i soccorsi – sottolinea –. Io mi risvegliai in Rianimazione». Ci rimase dieci giorni, ai quali si aggiunsero altri mesi in ospedale «dato che mi ero rotto delle vertebre. Oltre a ciò avevo numerose ferite e un’infiammazione della pleura dovuta alle rigide temperature».
Addio alla speleologia quindi? Nient’affatto. «Tempo di riprendermi completamente e a novembre dello stesso anno ero già in grotta – afferma –. Tornai subito nell’Omber e lì con alcuni amici stappai una bottiglia, quasi a esorcizzare quanto mi era accaduto solamente pochi mesi prima».

La carriera, fatta anche di numerose altre discese nella grotta di Serle, proseguì pure nel Soccorso alpino e speleologico (insieme al fratello Mario e a Corrado Camerini, attuale coordinatore delle operazioni di salvataggio di Ottavia Piana), «ma attorno ai 30 anni lasciai per problemini fisici».
Sulla vicenda relativa alla 32enne di Adro bloccata nell’Abisso Bueno Fonteno Vinai invece non si sbilancia, «poiché non conosco nulla della situazione e delle capacità della speleologa. Per questo motivo non voglio dare giudizi di nessun genere».
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