La Passione secondo Cerveno: la straordinaria storia della Santa Crus
Ogni 10 anni, c’è un istante preciso in cui il cielo sopra Cerveno si oscura. Tre enormi croci di legno su un monte del versante occidentale della Valcamonica, ribattezzato Golgota, e migliaia di persone inginocchiate sul prato. Che si scateni il diluvio, come nell’ultima Santa Crus nel 2012, o che ci sia un timido sole come in edizioni più remote: quando la testa coronata di spine si accascia sul petto, cala il silenzio e le nuvole si fanno piombo. «È impressionante, succede sempre» commenta Lucci Bazzoni, presidente del comitato organizzatore, mentre rivolge lo sguardo prima alla Concarena e poi - percorrendo una linea immaginaria che fende la valle - al Pizzo Badile.
«Per i camuni queste due montagne sono sacre, una di fronte all’altra simboleggiano il maschile e il femminile. E poi c’è la storia dell’equinozio». Il riferimento è al fenomeno naturale e a tratti mistico che si ripete ad ogni inizio primavera: il sole sorge dietro il Pizzo Badile e dà vita a un’ombra enorme che ingigantisce il profilo del monte, mentre al tramonto la Concarena risponde con un suggestivo fascio di luce. Lo stesso fenomeno che spaventava e seduceva i Camuni a partire dall’8000 a.C.
Monti sacri, Via Crucis e religiosità popolare
C’è una spiritualità cerimoniosa, scandita dal calendario liturgico e profumata d’incenso. E poi ce n’è un’altra popolare e primitiva, figlia di riti sussurrati. A fare da sottofondo un incessante scorrere di acqua: a «Hervé» (così si chiama in dialetto camuno) una fontana scroscia ad ogni angolo.
Nel minuscolo borgo bresciano con poco più di 600 abitanti basta arrampicarsi lungo le vie di ciottoli per vedere le due facce della devozione convivere fianco a fianco, tra piazza Roma e via per Lozio.
Da una parte svetta il magnifico Santuario della Via Crucis (le Capèle), eretto nel ’700 e fresco di uno straordinario (e lunghissimo e costosissimo) restauro. In una casupola a pochi metri c’è la sartoria degli abiti per i figuranti della Santa Crus, tra macchine da cucire e spolette. Sono le due facce della devozione per la Passione e la morte di Cristo, ognuna radicata come solo in questa terra può succedere. E che vive il suo culmine nel mese di maggio, una volta ogni 10 anni, con la via crucis vivente organizzata in ogni dettaglio e messa in scena dai cervenesi.
Una processione muta che si fa teatro popolare, dove ad ogni stazione i figuranti riproducono le scene delle statue lignee nelle 14 Capèle del santuario. Nessuno può parlare, ma la manifestazione è accompagnata da cori e da voci narranti diffuse in tutto il paese con gli altoparlanti. Una commovente pittura corale in movimento.
La devozione per la Santa Crus
Nel 2024 ci sarà il grande ritorno della Santa Crus, che manca a Cerveno da 12 anni (due in più a causa della pandemia di Covid). Fin da fine ’800, il mese prescelto è maggio. Perché non a Pasqua? Perché la ricorrenza di Santa Croce cade il 3 maggio e poi perché un tempo ad avere la meglio era il calendario degli agricoltori: impensabile calpestare i campi prima che fossero falciati.
«Nasci che la Santa Crus ce l’hai dentro» commenta la presidente Bazzoni, che coordina i cittadini che l’hanno eletta a capo dal comitato e che da mesi sono impegnati nella preparazione (gli altri componenti del comitato – che si coordina con l’associazione – sono Roberto Bazzoni, Daniela Bazzoni, Marilena Bazzoni, Roberta Bazzoni, Giada Botticchio, Jessica Botticchio, Luca Cappellini, Mario Cappellini, Erica Castellani, Mattia Mondoni, il segretario Federico Bezzi e, ammessi di diritto ma senza voto, sindaca e parroco). «Solo chi è originario di Cerveno può diventare figurante, oppure chi è figlio di nativi o vive qui da almeno 10 anni. Siamo molto gelosi delle nostre tradizioni».
Per le due repliche di quest’anno - in programma domenica 26 maggio e in notturna con crocifissione all’alba il 2 giugno - gli interpreti coinvolti sono più di 160. Un numero record, figlio di casting e provini iniziati l’anno scorso. «Raccogliamo le adesioni casa per casa, ma i ruoli di solito si tramandano all’interno delle famiglie». Il Cireneo, ad esempio, è Costantino Maifredini, che ha raccolto il testimone dal padre due edizioni fa. «Anche mia figlia ha ereditato il ruolo di Maria Maddalena - sottolinea Lucci Bazzoni - e indosserà lo stesso vestito. Il ricambio generazionale non è scontato e noi lavoriamo proprio per incentivarlo».
Le vite dei cervenesi
Le Sante Crus qui scandiscono le vite delle persone. Danilla Bazzoni, ad esempio, è alla sua sesta partecipazione. «Nel 1972, con abito turchese e cravattino bianco, facevo la bambina in processione - racconta ai microfoni di Fabrizio Prestini di Teletutto -. Poi sono stata nei diversi gruppi di pie donne, mentre quest’anno sarò Maria Salome, discepola ai piedi della croce».
L’attaccamento dei cervenesi all’appuntamento si legge nei loro occhi stanchi e commossi, ma anche nelle barbe e nei capelli lunghi degli uomini. «Li sto facendo crescere da mesi per interpretare uno degli apostoli - confida Giovanni Cappellini - e in ufficio continuano a chiedermi quando li taglierò. La risposta è semplice: non prima del 3 giugno».
Il significato della Santa Crus per gli abitanti di Cerveno è racchiuso nella parole del regista teatrale bresciano Giacomo Andrico, alla sua seconda edizione: «Sono ligi e ortodossi, ma anche accoglienti dopo che hanno capito di potersi fidare. La loro immedesimazione è totale, tanto che il mio ruolo è solo di rispettosa e discreta guida. Il lavoro da fare è sfilare una tovaglia da sotto una tavola imbandita».
Proprio come dichiarò l’indimenticato maestro Renato Borsoni: «Guai se un giorno arrivasse qualcuno e togliesse alla gente questo "animus" connaturato di lavorare su se stessi». «Mi colpì nel 2012 la richiesta di una ragazzina - svela il regista attuale -: mi domandò il permesso di nascondere nel suo costume il fazzoletto della nonna defunta. I cervenesi, mentre salgono sul Golgota, portano con sé il peso dei morti dell’intero decennio. E le lacrime che rigano i loro volti sono autentiche». Quest’anno, il pensiero di molti di loro sarà per Noemi Belfiore Mondoni, storica organizzatrice morta nel 2016, e per tutte le vittime del Covid.
I costumi della Santa Crus
Nell’edizione 2002, con la regia di Sara Poli, i costumi erano tutti bianchi e neri, con sciarpe e stole tessute a telaio (attrezzatura conservata nel Museo etnografico del paese), tranne la tunica rossa di Gesù e il mantello azzurro di Maria.
Dal 2012, dietro ai magnifici abiti dei figuranti brilla un nome: Rossella Zucchi. Storica costumista del Ctb Centro Teatrale Bresciano mancata pochi mesi fa, per l’ultima edizione della Santa Crus studiò con Andrico i nuovi straordinari costumi, ispirati ai protagonisti dei quadri del Pitocchetto e alle statue lignee del Simoni. «Voluminosi e con i colori tipici del tardo manierismo - spiega il regista -, sono stati tinti con acqua di fonte e coloranti vegetali, poi stratificati con un effetto velato, ottenuto spruzzandoli con toni complementari». A questi costumi ormai storici e perfettamente conservati, se ne sono aggiunti una cinquantina nuovi. «Sono stati cuciti dalle sarte volontarie con i tessuti donati dalle famiglie del paese, che hanno sfoderato dalle loro cassapanche cenci di nonna e drappi di canapa» sottolinea Monica, che ha il viso arrossato dai vapori dei pentoloni dove vengono calati gli scampoli per la tintura.
«Anni fa abbiamo fatto una scelta ecologica e usiamo solo estratto di robbia (per il rosso), resebia (arancione), indaco (blu e azzurro), legno di campeggio (viola/grigio) e mallo di noce (marrone)». Anche corazze, lance e accessori sono stati tutti realizzati nei laboratori locali, dove abili artigiani usano metallo, cuoio, legno e materiali di recupero.
Uno sforzo corale che è anche un ingente impegno economico da mantenere e che quest’anno conta su una raccolta fondi online.
La prossima edizione
La processione sarà, come negli ultimi anni, composta da diversi gruppi di personaggi. I bambini con i simboli del flagello sulle insegne, gli apostoli, i giudei, i sacerdoti, i soldati, gli sgherri e i mercanti. E poi le pie donne, le prefiche, le Maddalene (novità di quest’anno, saranno vestite con i nuovi azzurri e carta da zucchero emersi inaspettatamente dal restauro delle statue del santuario). E ovviamente Gesù Cristo, per anni magistralmente interpretato da Alberto Guarinoni e dal 2024 affidato a un nuovo figurante ancora segreto.
«Ho introdotto delle modifiche, in base ai miei studi degli ultimi anni - anticipa Andrico -. Maria, madre di Cristo, sarà presente fin dall’inizio e non dalla quarta stazione come da tradizione. La replica notturna è stata pensata invece per ottimizzare anni di lavoro, che meritano una seconda rappresentazione in cui dare sfogo agli sforzi di centinaia di persone. Sarà affascinante assistere alla crocifissione appena prima dell’alba, con i suoni della natura che si risveglia ai piedi della Concarena».
Come funziona la Santa Crus
La sindaca Marzia Romano ci accoglie in municipio, anche lei assorbita dai preparativi per l’accoglienza di migliaia di spettatori. «Sono attese più di 15mila persone e l’accesso al paese sarà consentito solo dalla zona artigianale - spiega -. Ci siamo accordati con i comuni limitrofi per le aree di parcheggio, collegate con bus navetta, e siamo certi che filerà tutto liscio anche grazie all’aiuto dei tantissimi volontari in campo, che cureranno anche le aree ristoro». Non è la prima donna alla guida del Comune: negli anni scorsi toccò all’amatissima Anna Caterina Bonfadini. Fu proprio lei a scrivere la nella prefazione al libro «Il popolo della Santa Crus» (2005): «Esplosione gioiosa, se pur faticante, di idee sentimenti programmi; ogni volta la stessa, ogni volta alimentata da nuovo vigore. Che si tramuta, dopo mesi di tenace lavoro, in quel lento maestoso procedere, quasi urlato silenzio (...) perpetua e dà significato al simbolo della croce».
«È impressionante - le fà eco Romano - come tutto venga fatto interamente dai cervenesi. Dalla pulizia dei terreni alla raccolta dei rami di abete (chiamati “dàse”) con cui si decora il paese, insieme alle migliaia di fiori di cartapesta confezionati a mano da tutte le donne, bambine comprese».
Il santuario delle Capèle
Terminata la Santa Crus 2024, l’obiettivo è strutturare e consolidare l’accoglienza al santuario delle Capèle, che dopo 13 anni di lavori e dopo l’inaugurazione con il vescovo Pierantonio Tremolada richiama sempre più fedeli e turisti, attirati dalla meraviglia del restauro. Lo abbiamo visitato con la sapiente guida del parroco, don Giuseppe Franzoni (il primo a vedere due Sante Crus di seguito e convinto sostenitore del recupero delle cappelle): magnifici gli affreschi che sovrastano la «scala santa» e commovente la veridicità delle statue lignee realizzate da Beniamino Simoni a partire dal 1752.
Un capolavoro nel capolavoro, al cospetto di montagne imponenti, dove la sacralità religiosa cammina accanto al popolo senza intralciarsi. Perché una completa l’altra ed entrambe concorrono alla costruzione della stessa sfaccettata e profondissima identità: quella che tra poco sarà pronta a fare un'eccezione e svelarsi, anche se solo per pochi giorni, ancora una volta.
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