Per le vie di Brescia 10 (più 1) luoghi dove storia e leggenda si incontrano
Una statua, un edificio o un’iscrizione sono i segni del passaggio dell’uomo nella Storia. Segni che hanno un significato. Questo però può cambiare nel tempo e assumere, a seconda dell’epoca e delle intenzioni delle persone, di volta in volta una sfumatura diversa, fino a diventare simboli. E in quanto città stratificata nei secoli Brescia porta con sé i simboli e quindi i segni - si perdoni il gioco di parole - di questa Storia fatta dall’Uomo.
Aggirandosi per le strade del centro storico è quindi facile trovare alcune di queste tracce storiche, che ancora ci parlano e ci raccontano, o pensiamo ci raccontino, qualcosa del tempo che fu. E forse ci suggeriscono indizi per il futuro.
Ciò che seguirà non ha l’ambizione di essere un elenco completo di tali simboli della «Brescia parlante» ma nasce dalla semplice volontà di provare a costruire un piccolo repertorio dove la storia, nel sovrapporsi di epoche differenti, si mischia alla leggenda e al mistero.
Macc de le ure
Partiamo da Piazza Loggia, luogo simbolo dal XV secolo del potere pubblico cittadino. Un potere che nei Macc de le ure, i due automi del XVI secolo posti sopra l’orologio, ha trovato dei custodi. Secondo la tradizione popolare infatti «Tone e Batista» (questi nomi dati verosimilmente da un ex impiegato comunale) rappresentano proprio l’autorità civile, scandendo con i loro colpi la vita delle persone e della città.
Lodoiga
E quasi contrapposta ai Macc, a livello spaziale ma anche ideale, c’è la Lodoigda de la Losa, la «Lodovica» scolpita a fine ‘600 e collocata nel porticato della Loggia. Storia tribolata quella della statua parlante Lodovica (potrebbe essere debitrice del nome alla poetessa settecentesca Lodovica Fè d’Ostiani), prima collocata poi rimossa in tempi recenti sotto l’Amministrazione Paroli, divenuta però nel tempo simbolo delle rivendicazioni popolari contrapposte al potere civico.
Per la tradizione su di lei e sulle colonne adiacenti venivano infatti affissi biglietti che commentavano, con le parole dei bresciani, gli ultimi provvedimenti legislativi. Ovviamente non senza lamentele
«Il gladiatore»
Sempre rimanendo nella centrale piazza, lungo i muri a ovest del palazzo comunale ricoperti da epigrafi di età romana riutilizzate in epoche più recenti, spunta «il gladiatore» Marco Nonio Macrino. Qui è infatti presente un’iscrizione dedicata da Tito Giulio Giuliano al generale romano, verosimilmente originario proprio di Brescia. In un lungo rincorrersi di fake news si giunse a sostenere che Macrino avesse fornito lo spunto per il film «Il Gladiatore» di Ridley Scott, data la somiglianza delle carriere militari, mai stato un lottatore schiavo, con il protagonista della pellicola.
Curt de Pulì
Spostandosi verso Corso Mameli si scopre invece un piccolo gioiello architettonico nel cuore di Brescia. La Curt de Pulì, che deve il suo nome alla famiglia di mercanti di pelli Pollini, è uno splendido esempio di stratificazione architettonica, con piani sovrapposti l’uno all’altro e palazzi addossati fra loro, collegata all’economia: era il cuore della lavorazione delle pelli di Brescia in età medievale e rinascimentale, proprio all’inizio di Corso Mameli che non a caso una volta si chiamava Corso delle Mercanzie.
Mostasù de le Cossere
Tra i più noti simboli di Brescia vi è poi il Mostasù de le Cossere, faccione in pietra che sorge tra contrada delle Cossere (cioè concerie) e corso Mameli ed è noto per la sua figura enigmatica senza naso. Secondo la più accreditata delle opinioni scientifiche la scultura sarebbe stata trasportata da un altro edificio dove serviva da sostegno per una struttura.
Si dice che raffiguri Teodorico re dei Goti e che il naso venne staccato nel 1311: allora l’imperatore del Sacro Romano Impero Arrigo VII, in collera con i bresciani rivoltosi, fece deturpare tutte le statue della città. Meglio così dato che senza l’intervento del cardinale Fieschi al posto dei nasi sarebbero saltate le teste di tantissimi cittadini.
Croce della chiesa di San Faustino in Riposo
Tornano indietro e girando a sinistra appena dopo Porta bruciata (anch’essa meriterebbe un approfondimento), c’è la chiesa di San Faustino in Riposo dove si narra vennero portate le spoglie del patrono, e del suo dimenticato sodale Giovita, dopo il martirio. Tralasciando la bellezza del luogo, si può scorgere, appena sotto la croce che domina la struttura circolare, un globo in metallo che funziona da sostegno allo stesso crocifisso. Guardando meglio si nota come tale globo presenti dei fori di proiettile, segno del passaggio di aerei alleati durante la Seconda Guerra Mondiale.
Roverotto
Continuiamo a parlare di San Faustino e Giovita. I due, martirizzati sotto l’imperatore Adriano nel II secolo per essersi rifiutati di sacrificare agli dei, secondo la tradizione apparvero nel 1448 sulle mure della città per difenderla dall’assedio delle truppe milanesi degli Sforza, in guerra con Venezia, comandate da Niccolò Piccinino. Faustino e Giovita ricacciarono indietro gli assalitori tra fuoco e stupore. E nel punto dove si narra comparvero sorge oggi un monumento, il Roverotto, ogni anno meta di una ricorrenza civile alla presenza delle cariche istituzionali cittadine in occasione della festa patronale del 15 febbraio.
Loggia delle Grida
La Loggia delle Grida si affaccia invece su piazza Duomo e corre sul lato occidentale del Broletto. La loggia, che inizialmente venne realizzata in legno, aveva la funzione di annunciare al popolo richiamato i provvedimenti legislativi, governativi nonché altri proclami. Qui per esempio nel 1213 venne proclamata la pace tra popolo e nobiltà.
Ma ad aumentare il fascino del luogo, distrutto a fine ‘800 e ricostruito sulla base degli schizzi su carta rimasti a inizio 900’, sono le sette statue su cui poggia il balcone: se la Giustizia incoronata, anche in virtù della funzione della struttura, è di facile interpretazione, le altre figure sono in parte ammantate di mistero, molto probabilmente grotteschi condannati e, nei lati più esterni, personaggi più grandi funzionali a scopi architettonici.
Bue d’oro
Di pagana memoria la statua di legno dorato del Bue d’oro sorge tra via Trieste e via Gallo. Qui, dove riposano i resti di una basilica romana e nei pressi della piazzetta Giovanni Labus, la più speranzosa delle leggende racconta che sia sotterrato un tesoro, non a caso un bue d’oro massiccio. C’è chi addirittura ritiene che fosse il simbolo di una venerazione del dio egiziano Api. Chi invece molto più semplicemente le attribuisce il ruolo di feticcio di ringraziamento, fatto costruire da un macellaio che grazie alla vendita di carne bovina fece fortuna.
Chiesa dei Miracoli
Anche qui la leggenda la fa da padrona. La chiesa rinascimentale di Santa Maria dei Miracoli in corso Martiri e la sua facciata sono già da sole meritevoli di essere viste. Ci sono però dei particolari incisi sul marmo dell’esterno che destano curiosità e persino qualche illazione: su una delle colonne sono infatti visibili dei particolari che richiamano alla tradizione alchemica. Fenici, salamandre e forse un atanor (forno usato per i processi di trasformazione della materia), hanno fatto crescere l’idea che forse, dietro al valore devozionale cristiano, si celi qualcos’altro. Illazioni si diceva.
Tomba del cane
Chiudiamo con uno dei simboli della città, la Tomba del cane che sorge lungo le pendici della Maddalena. Il monumento sepolcrale lungo via Panoramica venne progettato dal celebre architetto Rodolfo Vantini per ospitare le spoglie di Angelo Bonomini, benefattore dell’ospedale Civile. A causa delle leggi in vigore al tempo però nessuna salma poteva essere sepolta al suo interno, tant’è che venne chiamata Tomba del cane, cioè di nessuno, vuota.
Ma da cosa nasce cosa e ancora una volta la tradizione popolare narra una storia diversa. Si dice che al suo interno sia stato sepolto un cane che aveva cercato di difendere la padrona, la moglie di un patriota, aggredita da un soldato austriaco. Perché sia sa, l’immaginazione spesso non è semplice divertimento ma uno strumento creativo nelle mani delle persone.
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