Maria Porro: «Dal teatro al Salone del Mobile, ogni giorno si può imparare»

Da un lato c’è un evento, Smart Future Brescia 24, che punta a coinvolgere più di 20mila studenti e a porsi come punto di riferimento nazionale per l’orientamento. Dall’altro c’è la principale manifestazione mondiale per il design e l’arredamento: il Salone internazionale del mobile di Milano. L’incontro tra queste due realtà, testimoniato dalla presenza della presidente del Salone Maria Porro in qualità di speaker al Brixia Forum e di uno stand dedicato al PalaLeonessa, sancisce l’unione.
«Ascoltare i racconti e scoprire i retroscena dei percorsi professionali delle persone mi è sempre piaciuto e servito nella vita - racconta Porro -. Il mio è stato un percorso particolare, che mi ha condotta lontano per poi riportarmi all’impresa di famiglia: mi sembra interessante condividerlo con i ragazzi». E dal sogno «di soffiare il vetro» Porro è giunta ai vertici del Salone, passando attraverso diversi momenti chiave della sua vita, «quelli che in inglese si chiamano turning point».
Ci faccia un esempio.
«Ho scelto di studiare scenografia perché il teatro mi sembrava un’arte totale. Ma il vero motivo è perché un giorno ho assistito a uno spettacolo incredibile, Infinities di Luca Ronconi, scritto dal cosmologo John David Barrow. Quell’esperienza mi ha fatto capire che la scenografia permette di lanciare messaggi potenti».
Chi ha avuto il maggiore impatto sulla sua carriera?
«Mio padre in primis, che studia architettura, entra nell’azienda di famiglia e combatte per introdurre un metodo produttivo nuovo. Una prozia che, prima della II Guerra Mondiale, parte per l’Inghilterra senza conoscere una parola d’inglese, diventa sarta, rientra in Italia e apre una sartoria a Roma che diventa punto di riferimento della capitale. Oggi c’è Marva Griffin, fondatrice del SaloneSatellite e regina del design a livello internazionale. Ma anche Silvia Aymonino, che mi ha insegnato che una donna può avere una carriera importante e allo stesso tempo una splendida famiglia. Ma me ne verrebbero in mente altre mille».
Tra l’altro lei ha cambiato totalmente vita nel corso della sua carriera.
«Ho di fatto abbandonato il mio percorso professionale: pensavo a una carriera come scenografa, costumista e organizzatrice di grandi eventi, ma l’ho lasciata per occuparmi dell’azienda di famiglia. Non penso che cambiare percorso sia qualcosa di negativo e ritengo non vi debba essere nulla di scolpito nella roccia. Guardiamo cosa succede all’estero: è comune cambiare carriera, perché le competenze acquisite nei differenti percorsi si stratificano e rendono interessanti agli occhi degli interlocutori».
Prima ha citato Aymonino, capace di bilanciare carriera e famiglia. Lei come fa?
«È molto complicato, in particolare nell’ambito dell’azienda familiare. Come presidente di Assarredo e del Salone del Mobile di Milano le ore dedicate al lavoro e sottratte alla famiglia inoltre aumentano. Ci vuole tanta organizzazione e si devono fare delle scelte, perché è impossibile fare tutto e fare tutto bene».
Difficoltà perciò ce ne sono tante.
«Le difficoltà spingono a cimentarti in ambiti che non immaginavi. Bisogna essere preparati, attrezzati, correre rischi ma senza esagerare. E quando riesci a superarle, ti danno moltissimo, ti lasciano qualcosa di positivo anche quando fallisci. Non affrontarle è la reale sconfitta».
Le lezioni più importanti che ha imparato?
«Cerco sempre di tenere a mente che si può sempre imparare da chiunque, guardando da punti di vista differenti dal nostro. In quest’ottica c’è una frase bellissima di un amico falegname: se non riesci a risolvere un problema, ribalta la domanda».
Che ruolo hanno giocato i fallimenti nella sua carriera?
«Ve ne cito uno della mia carriera precedente: lavoro per un anno a un Tristan und Isolde da realizzare nel Teatros de Amazonas in Brasile, con cantanti da Vienna, un’orchestra incredibile, il presidente brasiliano che doveva venire alla prima. Ero assistente alla regia. Arriviamo a Manaus e non c’è nulla di pronto. La regista decide di non andare avanti e per qualche giorno gestisco tutto io. Alla fine però il teatro decide di prendere un altro regista. Avrei voluto restare ma un triste venerdì di Pasqua torno in Italia senza vedere l’opera realizzata. Quel fallimento mi ha insegnato tanto: oggi lotterei ancor di più per rimanere».
Quali sono i suoi progetti futuri?
«Sono tantissimi: stiamo lavorando al Salone del 2025 e, in prospettiva, anche all’edizione del 2026. In Porro poi festeggeremo i 100 anni: è un momento di passaggio molto importante, abbiamo un po’ di idee che guardano ai giovani. Le sfide sono tante perché ogni tempo ha le sue crisi economiche, le sue pandemie, le sue guerre. Ma ci sono valori, come quelli della qualità e della ricerca, che nel mondo del design sono fondamentali. Il Salone è la prova che fare sistema nella competizione può far crescere tante realtà insieme e il sistema Paese».
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