Lettere dalla strage, l’attentato neofascista ricordato dai lettori del GdB

La Redazione Web
Qui sono pubblicate le email inviate in redazione per «Piazza Loggia 50», un’iniziativa di Giornale di Brescia e Casa della Memoria che raccoglie i racconti personali sulla strage di bresciani e bresciane
Il corteo antifascista dei bresciani in piazza Loggia
Il corteo antifascista dei bresciani in piazza Loggia
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Cinquant’anni dopo la strage di Piazza della Loggia il Giornale di Brescia, in collaborazione con Casa della Memoria, ha ideato «Piazzaloggia50». Si tratta di un appello ai lettori ad aprire i propri archivi, estrarre tutto il materiale che riporti a quel giorno, a quell’epoca, a quelle settimane. «Piazzaloggia50» chiede di cercare in cassetti, bauli e cantine per condividere le schegge di memoria, i propri documenti, il materiale d’epoca. Il tutto per dare vita, nel prossimo futuro, ad una grande esposizione collettiva sulla Strage di Piazza della Loggia e sul valore della memoria. Oggi, per il terzo giorno consecutivo, pubblichiamo integralmente alcune delle numerose lettere che sono giunte a piazzaloggia50@giornaledibrescia.it.

In pagina troverete una lunga serie di istantanee che fissano su carta le emozioni e le impressioni dei testimoni dell’epoca. La raccolta prosegue. Oltre al ricordo di quella giornata, possono essere inoltrati immagini, filmati, documenti, reperti. Basta allegarne una foto all’email. Saranno valutati da un comitato scientifico e oggetto di un’esposizione sulla Strage e la memoria.

Le lettere pubblicate il 28 maggio

Con la strage ho maturato la mia coscienza civile

All'epoca della bomba in Piazza Loggia avevo 12 anni, ma ho un ricordo indelebile. Quando le salme sono state composte nel salone Vanvitelliano, mio zio Giuseppe, ha portato me e mio cugino a rendere omaggio ai caduti. Ricorderò sempre il momento in cui siamo sfilati davanti alle bare. Quella visita, pur nella tragedia, ha contribuito in qualche modo alla maturazione della mia coscienza civile negli anni a venire e alla consapevolezza che c'è sempre un antidoto alla violenza, nel rispetto e nella comprensione delle diversità e idee altrui.

Marino Antonelli

Il negozio divenne il riparo di tanti bresciani

Quel giorno io ero al lavoro come commessa al negozio Gusella sotti Portici Dieci Giornate. Da noi entrarono diverse persone per avere un riparo. Spaventate e insanguinate. Abbassate le saracinesche tornai a casa a piedi dal centro della città a San Polo. Tutto si era fermato. È un triste ricordo che rimarrà nella mia memoria. 

Nerina Peloia

Tutti parlavano della bomba, ero terrorizzato

Avevo sei anni e mezzo, per la precisione sei anni, sei mesi e venti giorni. Ricordo confusamente che mia madre, assieme alle madri dei miei amichetti, venne a prendermi a scuola. In mezzo a questo trambusto (per noi piccolini vissuto come felicità per l'uscita anticipata dalle aule) si percepiva che qualcosa non andava. Le nostri madri non sorridevano, sui loro volti la tensione era lampante: il termine che sentii più volte in quei minuti fu «la bomba». Ma che cosa è una «bomba»? Non capivo nulla e la felicità per quell’uscita anticipata svanì in pochi istanti: iniziò a scorrere nelle mie orecchie, nei miei occhi e nella mia mente quel maledetto termine ed iniziai ad avere paura. Fu quella la prima volta che la paura si fece padrona di me. Ricordo che iniziarono a rimbalzare notizie dalla radio, dai telegiornali in edizione straordinarie e dalle finestre delle case accanto: pioveva quel giorno ma le finestre furono lasciate aperte ed ogni volta che arrivava una novità da qualcuno di ritorno dalla città iniziava il tam-tam fra il vicinato. Ricordo le lacrime di mia madre e l’abbraccio che diede a mio padre di ritorno dal lavoro. Ricordo le bestemmie di rabbia di mio padre ogni qualvolta aumentava il numero delle vittime. Ricordo mia sorella che mi disse: «Non aver paura». «Eh, no, io ho paura e tanta anche». Non ricordo se dormii tranquillo quella notte ma so che il giorno dopo mi risvegliai un po' più adulto.

Paolo Parizzi

L’appello in classe e il timore per i compagni in piazza

Quando scoppiò la bomba frequentavo il terzo anno del Liceo Arnaldo, sezione A. A causa dell’assenza del professore della prima ora iniziavamo alle 9,00 ed io, che venivo da Nave, mi trovai a passare da una Piazza Loggia poco affollata e dai portici verso le 8,30 di una giornata scolastica che iniziava nel modo più normale possibile.

Le prime due ore di lezione si svolsero come di consueto ma al termine della ricreazione, verso le 11,00, alcune compagne tornarono in classe sconvolte portando notizie frammentarie: «Dicono che è scoppiata una bomba in Piazza Loggia e ci sono dei feriti, forse dei morti». Qualche minuto più tardi, in una classe comprensibilmente in fibrillazione, entrò la professoressa di filosofia Silvia Caldonazzo, che essendo all’oscuro di tutto, esordì con la frase di rito: «Ragazzi, facciamo regolarmente lezione». Furono le classiche ultime parole famose perché, nel giro di pochi minuti, apparve sulla soglia dell’aula il bidello Giacomo Renica con un biglietto recante i nomi di alcuni miei compagni, dei quali era chiesto se fossero presenti in aula. Era la prima di una lunga serie di interruzioni ed il segno inequivocabile del fatto che, pur in assenza di internet e dei telefonini, la terribile notizia della strage cominciava già a circolare. Rientrato a Nave, mia madre, che già sapeva dell’accaduto, vedendomi arrivare in orario sano e salvo mi accolse con un gran sospiro di sollievo. Apprendemmo poi che, purtroppo, i morti c’erano stati ed erano sei. Fra essi c’era una mia ex insegnante, Giulietta Banzi, che avevo avuto modo di apprezzare nei due anni del ginnasio e che ricordo ancora oggi per l’eccellente preparazione ma, soprattutto, per la grande umanità, tutt’altro che scontata nel corpo docente dell’epoca. A Lei dedico in special modo questo ricordo. 

Gianclaudio Vecchiatti

L’abbraccio con mio padre che mi cercò in ospedale

Avevo 20 anni ed eravamo in sette sotto un ombrello al centro della piazza. Questo ci ha salvato.

Ci siamo persi e ritrovati in Piazza Vittoria, dove ho avuto un mancamento. Ricordo che qualcuno ha gridato «al fascista» e un malcapitato si è trovato circondato.Non so come sia finita. Ricordo che mio padre, dipendente degli Spedali civili, quel giorno anche lui in sciopero, si precipitò al pronto soccorso a cercarmi.

Mi riabbracciò piangendo in cortile, mentre una vicina di casa ci ammoniva che era meglio «stare a casa, che certe cose non sarebbero successe». E appunto, ritornai in Piazza lo stesso pomeriggio, giusto per vedere gli idranti mentre ripulivano la piazza.

Ettore Bonardi

A pochi passi dal cestino siamo stati avvolti dal fumo

Nel 1974 ero delegato di fabbrica allo «Stilnuovo» con 500 dipendenti a Gambara. Le Organizzazioni Sindacali Provinciali Cgil-Cisl-Uil e le forze democratiche e Antifasciste avevano organizzato uno sciopero generale provinciale contro l’avanzare di atti terroristici nella nostro territorio. La mattina del 28 Maggio, con tutti i delegati di fabbrica dello Stilnuovo sono partito alla volta di Brescia. Arrivati in città ci siamo diretti al punto di concentramento indicato e da lì in corteo abbiamo attraversato la città, arrivando in Piazza della Loggia, alle ore 9,45. Quella mattina pioveva e ci siamo appostati sotto i Portici, davanti al negozio «Tadini e Verza», praticamente due colonne distanti dal punto dove è scoppiata la bomba. Alle ore 10,12 l’esplosione e siamo stati avvolti da una nuvola grigia. Ho accompagnato i miei compagni all’interno del negozio Tadini e Verza e poi sono uscito alla ricerca di mio padre che si era portato in Piazza della Vittoria.

Franco Durosini

Dissi a mamma: «Non voglio più andare in città»

La mattina del 28 maggio 1974 mi trovavo in città per una visita medica, precisamente al «Dispensario» di via Marconi. Avevo 5 anni, accompagnata dalla mia mamma, che ora ne ha 84. Quel giorno pioveva, terminato il controllo ci recammo alla fermata della corriera che si trova tuttora alla rotonda, nei pressi dell’Ospedale Civile. Qui cominciammo a renderci conto che qualcosa di grave poteva essere successo, giravano già delle voci. I pullman tardavano ad arrivare, i telefoni pubblici non trasmettevano le chiamate e quindi non riuscivamo a tornare a casa. Ad un certo punto iniziammo a sentire e a vedere moltissime ambulanze, una dietro l’altra che si dirigevano verso l’ospedale per trasportare i feriti. Io ero terrorizzata dal suono delle sirene impazzite, continuavo a ripetere alla mia mamma: «non portarmi mai più a Brescia». Soltanto dopo parecchio tempo riuscimmo a raggiungere casa, a Cortine di Nave e a scoprire dell’esplosione di una bomba in Piazza Loggia. A distanza di 50 anni spesso ricordiamo quel tragico giorno, soprattutto quando percorriamo il tratto di strada, dove tanto tempo fa eravamo in attesa della corriera che non arrivava.

Alessandra Minelli

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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