L’arte de catà i fic (e de catà 'l murùs)
Bella e simpatica l’iniziativa dei volontari di Castenedolo che da qualche tempo si sono messi in pista per ripulire le aree del paese trasformate in discariche abusive. Bella perché è un gesto concreto rivolto con amore al proprio territorio. Simpatica perché come slogan è stato scelto un brescianissimo modo di dire - catà sö - che significa, per l’appunto, raccogliere.
Il verbo dialettale catà è legato a quello latino captàre, che si traduce con cercar di prendere. E che in italiano risuona ancora in termini come accattone o raccattapalle. Un lontano discendente lo troviamo addirittura nell’inglese to catch, catturare. Nel nostro dialetto, in realtà, il senso di un verbo come catà può assumere venature diverse a seconda della preposizione (o avverbio) a cui è legato.
E così catà sö rende l’idea di raccogliere per terra quel che c’è, il bello e il brutto, senza star troppo a sottilizzare. Viene da qui il modo di dire càta sö e pórta a casa, il cui senso vien tradotto dal Pasquini con ben ti sta. Però il bresciano usa anche un catà zó che è un raccogliere dall’alto, specie da una pianta (càta zó i pèrsech). Lungo questo... ramo si arriva fino a termini composti come catafìc (lunga canna usata per raccogliere i fichi alla cui estremità sta una lattina dal bordo tagliente).
Altro senso ancora assume l’espressione catà föra, cioè scegliere all’interno di un mazzetto di possibilità (càta föra chèl che ta ocòr...). Quando è solo, senza preposizioni o avverbi, catà è semplicemente trovare (Marìa, s-cèta bèla, g’hét catàt el murùs?). E allora, quando due innamorati van d’accordo, si può dire di loro che i s’è pròpe catàcc.
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