La befana fa gli auguri (e tira la coda al gatto)
«Bondì le büganàte». Sia subito chiaro che la formula l’ho pronunciata io per primo. Quindi sono io quello che ha diritto a un regalo: una castagna secca, un bicchiere pagato in osteria, o magari - visto che la piazza sulla quale ci incontriamo in questo avvio di 2019 è una rubrica sul dialetto - l’offerta da parte vostra di una memoria bresciana. Fate voi.
«Bondì le büganàte» è solo una delle versioni della formula con la quale i bambini dell’alta Valcamonica - la mattina dell’Epifania - erano soliti augurare la buona giornata (il buon dì) agli adulti per riceverne in cambio un dono. Questa versione - come ci racconta Terry - è usata a Pontedilegno. Ma basta scendere una manciata di chilometri più in giù - a Vezza d’Oglio - e la formula cambia. Ricorda Silvano: «Noi bambini dicevamo bondì a té, gabinàt a mé e un adulto, soprattutto il padrino di battesimo, ci faceva un regalo».
La chiave della tradizione sta nella parola gabinàt (un po’ storpiata a Ponte) che si ritrova più giù in Valcamonica (a Prestine di Bienno ad esempio l’Epifania si festeggia con una sagra che si chiama Gabinòt proprio per quello) ma anche più in su: all’Aprica, a Bormio e Livigno, e poi in Svizzera, a Poschiavo e all’ombra del Bernina. L’origine di gabinàt è il tedesco «gaben-nacht» che significa letteralmente «la notte dei regali», di cui tradizionali beneficiari sono i bambini che la mattina del 6 gennaio se ne vanno in giro a fare auguri.
Chi riceve il «bondì» non può rifiutarsi di donare. Qualcuno prova anche a difendersi con una controformula: quando sente «gabinàt» risponde veloce «tìra la cùa al gàt». Ma per fortuna non funziona.
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