Cos’è il Kanun, il codice d’onore che ha segnato la storia dell’Albania

La Redazione Web
Si tratta di un’antica espressione di diritto consuetudinario basato su onore personale, famiglia, ospitalità, giustizia e vendetta. Se ne parla anche a Brescia: alcuni cittadini albanesi che lo temono hanno chiesto di non essere rimpatriati
Un paesaggio albanese
Un paesaggio albanese
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La «Legge del Kanun», nota anche semplicemente come «Kanun», è un antico codice di diritto consuetudinario diffuso in Albania. Prima era tramandato oralmente di generazione in generazione, poi è stato «istituzionalizzato» per iniziativa del nobile Lekë Dukagjini.

Il Kanun ha radici antiche ma è ancora capace di esercitare una forte influenza nella cultura e nella società albanese, soprattutto nelle zone montane del nord del Paese, dove addirittura è ritenuto più importante delle leggi statali. Per queste comunità è meglio morire o passare la vita in prigione piuttosto che non osservare il codice e di conseguenza essere considerati «privi d’onore».

Inoltre, in Albania è ritenuto un sistema di regole da non condannare, ma che anzi ha contribuito a mantenere l'ordine sociale e a proteggere i valori tradizionali della comunità.

Origini e storia

Le origini del Kanun non sono del tutto chiare, ma si ritiene che risalga a un periodo precedente all'Impero Ottomano. Lekë Dukagjini, un principe albanese del XV secolo, avrebbe selezionato e sistematizzato le consuetudini e i principi etici che regolavano la vita sociale e familiare: la sua trascrizione tutt’ora viene considerata la più grande raccolta di disposizione di diritto consuetudinario in Albania. Per vedere la prima pubblicazione, però, bisogna aspettare il 1933 quando vide la luce a Scutari, città situata nella zona settentrionale, lo scritto del frate francescano kosovaro Shtjefën Kostantin Gjeçov, morto qualche anno prima. Una raccolta molto corposa, composta da 12 libri, 159 articoli e 1.263 paragrafi.

Il kanun trascritto
Il kanun trascritto

I principi fondamentali

Il Kanun si basa su cinque concetti fondamentali: l'onore personale, la famiglia, l'ospitalità, la giustizia e la vendetta. Quest’ultimo elemento della lista è proprio il motivo per cui ricorre spesso nelle cronache, anche in Italia (nel Bresciano, ad esempio, ha riguardato cittadini albanesi che hanno commesso reati e non vogliono essere rimpatriati per paura di essere uccisi). Nell’articolo 125 della raccolta infatti possiamo trovare la parola «Gjakmarrje», che tradotta significa letteralmente «vendetta di sangue», secondo la quale il perdono non è una scelta accettabile.

Sangue chiama sangue, sempre. Le persone hanno il diritto, anzi il dovere, di uccidere per vendicare avvenimenti successi alla propria famiglia. Ad esempio: all’uccisione di un padre l’unica reazione possibile secondo il Kanun è vendicarsi, uccidendo un membro di sesso maschile della famiglia dell’assassino. Nel caso in cui una persona rifiutasse di vendicarsi perderebbe automaticamente l’onore.

Inizialmente soltanto l’omicida doveva rispondere delle proprie azioni, in seguito però venne estesa a tutti i componenti maschi della famiglia di questo, fino addirittura al terzo grado di parentela. Oggi il Kanun viene sempre più spesso utilizzato come capro espiatorio per legittimare la giustizia privata, difatti le regole dettate dal codice vengono seguite sempre meno minuziosamente, aumentando così il numero dei morti. Ad esempio, le donne dovrebbero essere intoccabili ma non è difficile trovare casi in cui sono state loro stesse vittime di una faida tra famiglie.

Diffusione e attualità

Ancora oggi il Kanun viene praticato in alcune zone dell'Albania, soprattutto nelle aree rurali e montane del nord. La sua influenza si estende anche ad altre comunità dei Balcani. Sebbene il sistema giuridico albanese moderno si basi su leggi statali, il Kanun continua a esercitare un certo peso nelle decisioni familiari e comunitarie.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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