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«Così ho superato la depressione»: la rinascita del cestista Fernandez

«El Lobito» si è raccontato proprio a Brescia, dove ha vissuto gli anni più felici della sua carriera. «Ero arrivato al punto di desiderare l’infortunio»
Fernandez: "Il mio canestro più bello"
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Parlare di sé per un atleta professionista non è mai facile, figuriamoci se la conversazione verte su un argomento così impegnativo, e considerato anche un tabù nell’ambiente sportivo, come la depressione. Eppure è proprio questo che ha voluto fare con coraggio il cestista Juan Fernandez da quando è tornato a giocare a basket dopo un ritiro di oltre due anni, appunto, per affrontare una crisi personale. E lo ha fatto anche ieri a Brescia, sul palco del Museo Diocesano, intervistato dal giornalista Alberto Banzola nell’incontro organizzato da Dots Consulting.

Il punto di non ritorno

«Nella stagione 2021/2022 – ha raccontato – sono arrivato a un punto di non ritorno, ma la cosa si era sviluppata nel tempo. Io ho solo spostato la decisione che dovevo prendere per la paura di quello che sarebbe stata la mia vita senza il basket. Non è facile smettere di fare una cosa che non solo facevo da dieci anni come professionista, ma da quasi 25 in generale. Non riuscivo neanche a immaginare come dirlo a mio papà, che è un ex giocatore».

  • Fernandez al Museo Diocesano di Brescia
    Fernandez al Museo Diocesano di Brescia - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it
  • Fernandez al Museo Diocesano di Brescia
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  • Fernandez al Museo Diocesano di Brescia
    Fernandez al Museo Diocesano di Brescia - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it
  • Fernandez al Museo Diocesano di Brescia
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  • Fernandez al Museo Diocesano di Brescia
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  • Fernandez al Museo Diocesano di Brescia
    Fernandez al Museo Diocesano di Brescia - Foto Gabriele Strada/Neg © www.giornaledibrescia.it

E una parte rilevante di quella vita così dedicata al basket Fernandez l’ha passata a Brescia, dove ha trascorso probabilmente gli anni più felici della sua carriera professionistica: «Tornare a Brescia per me e la mia famiglia – ha detto il 34enne – è sempre speciale, ho un legame importante con questa città, mi sono sposato qui, abbiamo fatto il ricevimento proprio in questa sala del Museo Diocesano, ho avuto la mia prima figlia e ho costruito tanti rapporti importanti. Sono stato molto contento quando mi hanno chiesto di partecipare all’evento per poter condividere la mia esperienza con le persone di una città che per me è speciale».

Sono stati poi proprio i successi raccolti in tre stagioni al Basket Brescia, tra cui anche la storica promozione in A1 nel 2016, a lanciare la carriera del regista argentino, ma anche a dare il via alla fase più buia della sua vita: «Sono arrivato al punto – ha spiegato l’attuale playmaker della Reyer Venezia – di desiderare l’infortunio per non dover più andare ad allenamenti o partite. La mia famiglia aveva capito cosa stava succedendo, soprattutto mia moglie, ed è stata lei la persona che mi ha fatto fare il primo passo, quello più difficile: ammettere di avere un problema e chiedere aiuto».

Il cestista con la maglia del Trieste - Foto New Reporter Checchi © www.giornaledibrescia.it
Il cestista con la maglia del Trieste - Foto New Reporter Checchi © www.giornaledibrescia.it

La sfida

Nonostante un’attitudine taciturna, con grande apertura emotiva «El Lobito» (soprannome ereditato dal padre) ha voluto riflettere sulle origini della sua depressione: «Il fatto di nascere in una famiglia di sportivi di successo forse da un lato ha reso fin troppo normale il mio percorso, ma dall’altro ha probabilmente creato più aspettative del normale. Pensandoci ora, credo sia cominciato tutto al college, dove ebbi un anno molto difficile da senior ed è per questo che dico che ho spinto la decisione molto avanti, perché lo sport per sua natura ti porta ad accettare tante cose e a nasconderne altre, ma resta questa sensazione negativa di sottofondo che non puoi ignorare e se non ci lavori sopra rischi di crollare nei momenti più complessi della carriera».

Di nuovo in campo

Ora è tornato a calcare i parquet della Serie A, ma con uno spirito e una consapevolezza completamente diversi: «Il mio percorso – ha concluso – non è finito e non penso finirà mai, perché io continuo a lavorare su me stesso. Prima sentivo che la mia carriera veniva prima di tutto, ora che sono tornato a giocare dopo quasi due anni e mezzo passati lontano dai campi vedo la pallacanestro anche come uno strumento per qualcosa di molto più importante, un ponte per trasmettere questa mia esperienza a chiunque ne abbia bisogno».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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