JONA CHE VISSE NELLA BALENA

Regia: Roberto Faenza
Con: Jean-Hugues Anglade, Juliet Aubrey, Luke Petterson, Jenner Del Vecchio
Genere: drammatico
Distribuzione: Mustang
La tragedia del lager e la follia dell'olocausto nazista viste attraverso gli occhi innocenti di un bimbo ebreo olandese, Jona Oberski, finito all’età di 4 anni nel campo di Bergen Belsen nel 1942 e che, unico della sua famiglia, riuscì a sopravvivere per diventare poi un apprezzato fisico nucleare. È un film ben fatto e importante, oltretutto meno ruffiano nel cercare la commozione del più recente “Il bambino con il pigiama a righe”, questo del 1993 di Roberto Faenza che torna ora disponibile in dvd e che a suo tempo vinse i premi David, gli oscar del cinema italiano, per la regia, le musiche (di Morricone) e i costumi. Tratto dal libro autobiografico “Anni d'infanzia. Un bambino nei lager” di Oberski e scritto da Faenza assieme a Nelo Risi, poeta noto anche come regista, ed Edith Bruck, ha per protagonista il piccolo Jona (interpretato da tre differenti attori, a seconda dell’età) che vive ad Amsterdam con i genitori ebrei Max e Hanna e che, dopo l'occupazione nazista della città, passa da un campo di raccolta all’altro per finire poi in uno di sterminio, tra gelo, umiliazioni e sofferenze, dove si troverà diviso dai genitori, reclusi in baracche diverse, e li vedrà morire, prima il padre vittima di privazioni e stremato nel fisico, poi la madre, caduta in preda alla follia e semidelirante che si spegnerà in ospedale poco dopo l’arrivo dei russi e l’avvenuta liberazione. Madre che, affidandolo ad una ragazza e morente gli dà l’ultimo e il più importante insegnamento: "Guarda sempre il cielo e non odiare mai nessuno", frase che è un grande testamento morale e gli darà la forza per arrivare dove poi sarebbe riuscito. Ci vorranno però l’affetto dei Daniel, una matura coppia di Amsterdam per i quali il padre aveva lavorato e che lo accolgono in casa allevandolo come un figlio con estrema dolcezza e dieci anni di sedute psicoterapeutiche affinché Jona riesca a riprendersi dai traumi subiti e vivere un’esistenza normale, creandosi pure una propria famiglia. Un film toccante e significato da tenere presente per proiezioni scolastiche (ma non solo) in cui Faenza non calca i toni, ma riesce a far vivere nello spettatore il dramma e lo sconcerto del ragazzino piombato in una sorta di abisso infernale, quello che però possono creare follia e malvagità umana. Per la cronaca, l’anno scorso sempre sul tema dell’olocausto e sempre con Nelo Risi ed Edith Bruck, da un romanzo della Buck ha tratto il trascurato “Anita B.”, storia di una 16enne ungherese sopravvissuta ad Auschwitz e del suo ritorno alla vita normale in un villaggio tra i monti della Cecoslovacchia, fra tensioni del comunismo che si va instaurando, voglia di vivere e il richiamo di una patria che sta nascendo
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