Inquirenti e storici alleati per svelare la rete del terrore
Per i Pomeriggi in San Barnaba, promossi da Comune di Brescia, Fondazione Clementina Calzari Trebeschi, Fondazione Luigi Micheletti e Casa della Memoria, e quest’anno dedicati al tema «La città ferita» nel 50° della Strage di piazza Loggia, il prof. Angelo Ventrone è intervenuto nell’auditorium di corso Magenta a Brescia, sul tema «Verità storica e verità giudiziaria a confronto». Ecco una sintesi del suo intervento.
È ormai evidente che chi vuole studiare la violenza politica nell’Italia degli anni ’60 e ’70 non può limitarsi ai racconti offerti dai protagonisti delle vicende analizzate, come invece a lungo è stato fatto. Deve sforzarsi di individuare fonti che riescano (per quanto possibile) a rivelare anche quegli aspetti oscuri del loro agire che, per la loro delicatezza, dovevano restare riservati. È per questa ragione che i documenti giudiziari diventano indispensabili per la ricerca storica su questo tema. Come sa chiunque li abbia utilizzati, sono infatti straordinariamente interessanti perché, oltre alle sentenze, contengono anche tutto ciò che è stato raccolto nel corso delle indagini: carteggi, informative, verbali di perquisizioni e sequestri, agende, perizie, intercettazioni, interrogatori.
Raramente uno storico può disporre di una massa così ampia di documenti, peraltro oggi facilmente accessibili grazie al lavoro di scansione che avviò già molti anni fa la Casa della Memoria di Brescia. La realtà che ne emerge è molto lontana da quella che ci si poteva immaginare. Facciamo qualche esempio. Da sempre ci siamo abituati a considerare le varie organizzazioni appartenenti all’estrema sinistra o all’estrema destra come divise da scontri ideologici frontali, tra chi era un po’ più maoista (Lotta Continua, ad esempio) e chi un po’ più leninista (Potere Operaio), tra chi era filofascista (Avanguardia nazionale) e chi filonazista (Ordine nuovo), e via di questo passo. Proprio sulla base dell’immagine che questi gruppi davano di se stessi e della propria «purezza» ideologica, ci siamo convinti che non avessero rapporti tra di loro o che, se li avessero, fossero estremamente conflittuali. E, inoltre, che la loro azione fosse dettata da ragioni, per l’appunto, squisitamente ideologiche.
Invece, come hanno mostrato proprio le acquisizioni giudiziarie, la realtà era ben diversa. Abbiamo infatti scoperto che organizzazioni che si combattevano per sottili questioni teoriche, in realtà si sostenevano e collaboravano; i loro dirigenti si incontravano periodicamente (come Renato Curcio, delle Brigate rosse, e Toni Negri, di Autonomia operaia); si scambiavano bozze di documenti prima di pubblicarli; vedevano i propri militanti transitare da un gruppo all’altro o aderire a più gruppi contemporaneamente; si impegnavano a garantire reciprocamente ospitalità ai latitanti, a scambiarsi armi, a svolgere insieme azioni delittuose. Intessevano addirittura rapporti sia con la criminalità comune o con quella organizzata per ottenere supporto logistico e armi, sia con settori dello Stato, servizi segreti nazionali e internazionali. E, certamente nel caso della destra eversiva, anche con logge massoniche deviate e circoli imprenditoriali da cui ottenere finanziamenti.
La ricerca della verità giudiziaria nei processi su stragi e terrorismo ha dunque arricchito di molto la verità storica, in particolare rendendo disponibili documenti altrimenti inaccessibili. E gli studi storici sono stati fondamentali per comprendere meglio - come ha ben chiarito la sentenza di primo grado su Paolo Bellini e i mandanti della strage di Bologna (2023) - il retroterra culturale e operativo, e i dibattiti che precedevano e accompagnavano l’azione dei gruppi, anche attraverso la comparazione con dinamiche simili in altri periodi storici o altre aree geografiche. Tuttavia, verità giudiziaria e verità storica per tanti aspetti restano distinte: la prima cerca infatti responsabilità individuali, ed è sottoposta a principi codificati e rigorosi che impediscono, ad esempio, di poter processare chi è stato assolto in via definitiva, pur in presenza di nuove prove (com’è accaduto per la strage di piazza Fontana).
La seconda ha invece obiettivi meno stringenti: intende infatti ricostruire innanzitutto processi collettivi più che responsabilità individuali, esaminando i condizionamenti che il contesto esercita sugli attori storici e le strategie elaborate per aggirarli al fine di realizzare i propri progetti. Eppure, se veramente vogliamo capire cos’è successo in Italia fra gli anni ’60 e ’70, dobbiamo ricordarci che ognuna ha bisogno dell’altra.
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