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Fiat 128 Coupé 3P, storia di un’auto rinata dopo tre mesi - affannati - di restauro

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La telefonata è giunta inaspettata e inconsueta qualche mese fa, e ha sorpreso come talora capita a chi svolge un lavoro in cui una voce al telefono può rappresentare una notizia o un’opportunità di seguire un fatto.
Dall’altra parte del filo la voce di una gentile signora, mossa dall’accento inglese, temperato da modi colti e raffinati.
La richiesta semplice, poi tradotta in un’offerta allettante: “Guardi, leggo i suoi articoli sulle auto storiche. Noi possediamo una vecchia 128 Coupé degli anni Settanta a cui sono molto legata. Voglio sbarazzarmene perché è un’auto che non usiamo più ed ormai è vecchia. Ma non vorremmo mai demolirla. La volete? Nel caso ve la regaliamo…”.
Una proposta che proprio non ci saremmo aspettati di ricevere e che abbiamo accolto da un lato con curiosità e dall’altro con simpatia. Certo, una 128 Coupé non è una gran macchina da collezione, tuttavia è abbastanza difficile vederne in giro, men che meno nei raduni di auto storiche. E poi va detto che il motore è generoso, robusto e affidabile. Insomma, potrebbe essere un mezzo adatto alle lunghe sgroppate invernali inseguendo le gare tra le nevi ed i ghiacci in mezza Europa.

Da qui, dopo qualche approfondimento su internet, alcuni giorni dopo siamo andati a far visita alla nostra lettrice, per visionare il pezzo…da smaltire e destinare alla nostra collezione.
Ci siamo trovati al cospetto di una deliziosa signora di origini canadesi, fiera dell’aver sposato un italiano, con cui ha costruito una meravigliosa famiglia residente a poca distanza dalla città.
Una famiglia numerosa che letteralmente è passata sul sedile di guida della vecchia 128 Coupé, rivelatasi poi una 3P della metà degli anni Settanta, con alle spalle tanta strada, e decisamente segnata da un uso disinvolto a cui l’affidabilità del propulsore Fiat aveva da tempo abituato.
La macchina si presentava in uno stato non certo felice: botte ovunque (persino sul tetto…) con ampie applicazioni (anzi spesse) di stucco, sotto una vernice nera bi componente data abbondantemente a spruzzo negli anni.
Il tutto cosparso di adesivi di varie misure e addirittura da tavole da snowboard.
Dopo il passaggio eseguito all’Aci di Brescia (199 euro la spesa complessiva, per un impegno di tempo di circa mezz’ora…) la proprietà della macchina è passata di mano.
Dopo il passaggio di proprietà il ritiro dell’auto: non senza nostalgia e con qualche nota di malinconia la gentile signora, accompagnata dai figli ha dato l’addio alla vecchia vettura.
Ad assistere alla partenza, per fortuna, le mani magiche dell’amico meccanico Fabio Lodrini, titolare dell'omonima officina di Brescia, al Villaggio Sereno. Un vero punto di riferimento per ogni appassionato di motori, tanto da essere meccanico, gommista ed elettrauto. Un supporto imperdibile su Brescia...

L’ottimo Fabio l’ha rimessa in un amen in condizione di affrontare le poche decine di chilometri che ci separava dal luogo del ritiro alla sua attrezzatissima officina.
Il segreto in un cambio veloce di candele, la regolazione delle puntine, il controllo e il rabbocco dell’impianto idraulico dei freni, quindi il fatidico colpo di chiave.
Il motore, non senza qualche incertezza, ha cominciato a girare, prima tossicchiando e fumando abbondantemente, poi prendendo lentamente i giri anche se ansimando come un asmatico. Dopo qualche minuto girava tondo tondo come se la lunga sosta sopportata non avesse minimante inciso.
Dopo il commiato il primo vero viaggio verso l’officina. Fortunatamente era domenica mattina, quindi il traffico della città non era particolarmente intenso.
Nel pur breve tragitto la pompa dei freni ha cominciato ad accusare qualche cedimento. “Si deve frenare di colpo altrimenti il pedale affonda sino in fondo e devi ripompare per frenare, ma per il resto va tutto…” ha sentenziato sereno Fabio. Mah…
Quindi l’arrivo a destinazione nell’officina, tra sguardi incuriositi di altri automobilisti e qualche nuvola di fumo azzurro rilasciato dallo scarico più che arrugginito.
Con l’arrivo in officina la prima vera constatazioni delle reali condizioni dell’auto.
Avevamo dunque recuperato una macchina segnata da decine di piccoli traumi e minata dall’azione corrosiva dal tempo. Sulla carrozzeria decine di adesivi, gli stessi che ricoprivano le superfici interne dell’abitacolo. Un mosaico.
Nell’arco di qualche giorno è cominciato il restauro: impensabile tenerla in quelle condizioni, con la vernice nera scrostata dal tempo a coprire il P400 o “Azzurro Appennino” tipicamente Fiat di quegli anni.
Abbiamo quindi avviato un lavoro improbo.

Tolti gli adesivi piano piano la carrozzeria ha cominciato a far emergere tutti i danni prodotti dal trascorrere del tempo sulle lamiere Fiat. Non che la Casa fosse nota per la resistenza dei trattamenti antiossidanti, ma davvero nel nostro caso sembrava che alla naturale propensione a far ruggine fosse seguita, perversamente, l’accanimento delle piogge acide.
Sottoporte mangiati dalla ruggine passante, parafanghi perforati da anni di pioggia e sale, lamierati interni devastati e saldati in qualche modo con il silicone, sotto chili di stucco spatolati come si conviene con la malta.
La lunga vita della 128 stava lentamente affiorando tra le lamiere provate e stirate, mostrando un lavoro in quel momento immaginabile e per questo forse nemmeno da tenere in considerazione.
Talmente improbabile da far eseguire in carrozzeria che, nonostante lo scoraggiamento, abbiamo deciso di affrontare più come una scommessa - e quindi una sfida - che non come realmente necessario ed economicamente opportuno.
Ma non sia mai detto: la sfida c’era tutta. E allora, tanto valeva affrontarla.
E se qualcuno ci sollecitava sul fatto che il valore commerciale non era tale da far ipotizzare di farlo, la risposta era la stessa: “Dove starebbe diversamente il divertimento? Sono del resto capaci tutti di rivolgersi in carrozzeria. E poi?”.
Più che una risposta una scusa al nostro rivolere l’auto in strada in condizioni ottimali.
Una follia ma tant’è.
Il valore commerciale della 128 3P è, infatti, limitato e non certo in linea con l’intervento radicale che ci siamo proposti nel volere restaurare quest’auto.
Se al cuore non si comanda, le decisioni razionali non hanno spazio quando si parla di auto storiche o destinate a diventarlo. Lo abbiamo già abbondantemente sperimentato con la nostra collezione di moto ed ora si trattava di avere una riprova.
Ma siccome il limite la passione deve comunque trovarlo, ci siamo posti un limite di spesa: entro e non oltre i 2.500 euro.
La road map del nostro progetto di restauro eccola dunque tracciata.
Dove non ci sono limiti di tecnica subentrano quelli di logica e di spesa.

Va aggiunto che la nostra 3P storica lo era già: sì, perché i precedenti proprietari, rispettosi delle norme, per poter circolare in Lombardia avevano proceduto già anni fa a iscrivere l’auto al registro storico Asi.
Tra le carte consegnate è emersa anche la certificazione storica ottenuta con l’iscrizione nel registro Asi, a spianare ulteriori possibili difficoltà.
In più l’auto aveva già sostenuto con esito positivo la revisione periodica!
Da qui, dunque il via al lavoro.
Mentre Fabio con i propri collaboratori procedeva al restauro della meccanica, abbiamo cominciato a rimuovere la vernice nera data a spruzzo anni addietro. Un lavoro allucinante, anche a causa dell’ottima qualità dello smalto bicomponente impiegato.
La rimozione è stata eseguita prima con dello sverniciatore, a cui, nell’arco di poco abbiamo sostituito una levigatrice orbitale elettrica con cui abbiamo avuto la meglio in qualche giorno della superficie spruzzata, lasciando superfici levigate e lisce pronte da essere stuccate dopo la saldatura delle parti ammalorate.

Abbiamo così appurato che l’uso dello sverniciatore, per buono che possa essere, non appartiene all’uso dei carrozzieri per l’impiastro che lascia a lavoro ultimato. Molto meglio carteggiare e lasciare il tutto alle fasi successive di levigatura dopo aver dato il fondo.
Nel frattempo il nostro meccanico ha provveduto a cambiare i tubi dei freni (costo ricambi 60 euro), la pompa idraulica collegata al servofreno (40 euro), le pastiglie (17 euro), i due dischi anteriori (60 euro), l’intera linea della distribuzione montando un kit apposito (90 euro), il cinghiolo (15 euro), le candele (24 euro), i due cuscinetti delle ruote anteriori e le rispettive ghiere (80 euro), le cuffie dei semiasse (4 kit per 60 euro), cambiando l’olio del cambio (25 euro) e quello motore cambiando anche il filtro (50 euro).
Sono poi state montate quattro gomme nuove da neve (dal costo eccezionale di 252 euro totali).
Sistemata anche la marmitta, lasciata penzoloni da un’improbabile legatura di filo di ferro e orfana dei supporti in gomma invece recuperati come fondo di magazzino.
Fabio è veramente un amico: a guerra finita la manodopera è costata una cifra simbolica!
I cerchi originali, compromessi da anni di intemperie, mostravano ampie parti perforate dalla ruggine, quindi sono stati accantonati in attesa di restauro o sostituzione e sono stati loro preferiti altri quattro cerchi Fiat della stessa misura, ma di un altro modello. Un peccato veniale a cui rimedieremo più avanti.
Il lavoro di levigatura ha però svelato le molte botte subite dall’auto nella sua vita utile.
Una marea di sollecitazioni che hanno letteralmente piegato, snervato e in taluni casi tranciato le lamiere stirate dalle presse.
Certo, lamierati di quelli veri e ben distanti dalla leggerezza delle macchine attuali. Acciaio crudo e secco, capace di tenere botta al martello, lasciandosi saldare e filo senza dimostrare troppi cedimenti o facilità alla perforazione dell’elettrodo.
Dopo aver raddrizzato tutte le lamiere, risollevando botte, traumi e stirature del profilo della vettura (più facile davvero a dirsi che a farsi…) impiegando sagome, vecchi strumenti di battilastra e dime che ci siamo ingegnati a costruire alla bisogna, la geometria della macchina è stata restituita alla sua sagoma originale.
Ovviamente il tutto non senza difficoltà e pazienza. Ma tant’è.
Di fondo, durante questo nostro lavoro ospiti dell’amico Fabio (che non smetteremo di ringraziare) e sotto l’occhio vigile del padre Sergio abbiamo anche contattato dei carrozzieri: da un prezzo minimo di 3.500 euro abbiamo ricevuto preventivi di restauro sino a 5mila euro… Non male per una macchina che ne vale poco più della metà.
Semplicemente esemplificativo del lavoro e dell’impegno richiesto dall’intervento che stavamo accingendoci ad affrontare.

Va detto che quando ormai il sasso è lanciato, è del tutto inutile ritirare la mano: ormai il lavoro era stato cominciato e non avrebbe avuto senso interromperlo. A meno di non frustare il nostro orgoglio.
Per cui, nonostante il naturale scoramento del non vedere avanzare lo stato dei lavori, frazionati in mille interventi minori, più volte ci siamo detti che l’intervento doveva essere ultimato e nel migliore dei modi. Non fosse altro per una questione di principio.
Budget fissato, come detto, entro e possibilmente non oltre i 2.500 euro.
Senza contare le nostre ore, ovviamente e l’attrezzatura utilizzata, patrimonio già acquisito della nostra attrezzatura destinata alla cura dei veicoli storici.

Dunque mentre le ore scorrevano veloci ed i giorni si inseguivano senza mai lasciar vedere la luce in fondo al tunnel nel quale ci eravamo volontariamente ficcati, siamo arrivati al fatidico giorno di salutare Fabio, la sua calda e accogliente officina (già, era pieno gennaio…) per continuare a dedicarci al restauro a casa nostra, nella nostra officina 'domestica', confortati dalla presenza delle macchine utensili, dal poderoso bilanciere a cui demandiamo tranciatura, piegatura e imbutitura e da tutta la dotazione di strumenti raccolta negli anni.
Anche qui è cominciato un lavoro matto e disperatissimo, parafrasando indegnamente Leopardi, tra luce esterna fioca, gelo polare e tanta voglia di finire.

Tutte le brecce della macchina si sono rivelate nella loro gravità ed estensione, mentre la saldatrice scorreva tra giunti finalmente solidi e lamiere acciaiose piegate, modellate ed adeguate a martello sull’incudine a riprendere le forme corrose anno dopo anno dalla ruggine.
Non potevamo ricorrere ai ricambi? Evidentemente no, dato che della 128 3P si trova davvero poco…
Da qui l’arte sacra e ‘perfetta’ dell’arrangiarsi.
Grazie ad un altro amico di Concesio, Roberto, valente artigiano, professionista della tranciatura e della piegatura della lamiera e datore di lavoro di una decina di persone a cui va tutta la nostra stima per le capacità professionali dimostrate, ci siamo procurati qualche decina di chili di pezze di lamiera. Tranciature di scarto, marginalia di tagli laser e scarti vari di lavorazione che se per la loro attività sono solo rottami, per il nostro lavoro è letteralmente oro.
Ci siamo quindi riempiti il bagagliaio e, una volta a casa, abbiamo cominciato a selezionare il ‘bottino’.
Ebbene, alla fine ci siamo convinti di aver portato a casa tanto ferro da poter restaurare almeno una decina di 128 Coupé… ma facciamo di necessità virtù.
Da qui è partita la lenta produzione di pezze e di risvolti da saldate al posto delle falle e dei buchi di più di 35 anni di vita sulla strada.
Dopo aver consumato qualche chilo di elettrodi, ferro secondo necessità, tonnellate di pazienza e, in parallelo, flaconi di collirio per gli occhi bruciati dagli archi voltaici e dal fissare il dardo del cannello, siamo giunti al punto di… cominciare la stuccatura.
Terminato un lavoro improbo, quindi, ne abbiamo cominciato un altro. Interminabile, tra temperature sotto zero e voglia di terminare.
Uno dei lavori più impegnativi ma anche rilassanti in termini di esecuzione è stato la costruzione dei sottoporta: reso impossibile sostituirlo con un ricambio, ci siamo rivolti all’amico Roberto che ci ha fornito due strisce di lamiera da 7 decimi, piegate ad angolo retto su un lato, che abbiamo saldato sul sottoporta nella parte posteriore, sagomandolo verso il basso nella stessa forma dell’originale.
Oltre due metri di saldatura la cui irradiazione avrebbe bruciato anche un coriaceo Masai abituato a resistere all’insolazione più feroce…
Dopo la stuccatura e la levigatura, siamo passati all’antirombo.
Antirombo che abbiamo dato anche all’interno dei parafanghi, ossia la dove abbiamo saldato i buchi più grandi lasciati dalla ruggine sostituendo i passaruote con adeguata lamiera acciaiosa.

A questo punto abbiamo portato i sedili, macerati dall’uso, dal tappezziere. I nostri maghi dei sedili, Renzo ed il figlio Giovanni, si sono prodotti in un miracolo, ossia recuperare dal magazzino i tessuti sintetici originali dell’epoca. Non solo nella stessa tinta blu scuro, ma anche quelli traforati che ricoprivano le imbottiture belle parti centrali del sedile.
Anche qui un lavoro di due mesi, per un ammontare totale di circa 350 euro.
Il lavoro è stato eseguito a regola d’arte: smontate le coperture originali ne sono state cucite di nuove, poi montate sulla gommapiuma originale rinforzata e rinsaldata da collanti speciali e cuciture ad hoc.
Alla fine ne è uscito un lavoro eccellente, con i sedili restituiti all’originale splendore. Finalmente, quindi, un tassello che va al suo posto a completare un puzzle ancora incompleto.

Tra le difficoltà che abbiamo riscontrato nell’abitacolo anche l’opacità irreparabile delle lenti del contachilometri, del contagiri e dei livelli di olio e benzina.
Anche in questo caso pezzi di ricambio introvabili che abbiamo quindi ben pensato di riprodurre, partendo da lastre di policarbonato piegate a caldo (con un accendino) e sagomate nella stessa forma delle originali.
Un lavoro da non augurare a nessuno che non si odi in modo viscerale…
Al termine il risultato è stato premiante, con i quadranti finalmente visibili e finalmente leggibili.
Lo smontaggio del cruscotto ci ha permesso di svolgere l’adeguata manutenzione anche alle mille (saranno una ventina in realtà) luci e spie del quadro, nella maggior parte dei casi bruciate o semplicemente assenti perché rimosse nei decenni.
Il quadro dei comandi, peraltro, si svita con due soli viti autofilettanti e, tolta la cordina del contachilometri - svitandone la ghiera - all’interno si accede sganciando dei ritegni ad incastro stampati in plastica.  Un lavoro in verità semplicissimo.
Terminata quindi (secondo noi…) la fase di stuccatura e di levigatura, abbiamo deciso di far verniciare l’auto ad un carrozziere.


Dopo tanto lavoro, del resto, sarebbe stato stupido rischiare di compromettere tutto per materiali o tecniche sbagliate. In più aggiungiamo che eravamo in gennaio con temperature da gelo.
Abbiamo quindi portato l’auto dall’amico scelto che, nell’arco di un mese, ha compiuto l’ennesimo miracolo della nostra storia, restituendoci la 128 3P lucida di tutto punto, rilevigata e tirata tanto da essere resa fiammante, come probabilmente non era nemmeno all’origine. Fondamentale la cura manuale nella carteggiatura del fondo. Poi si passa alla grana 400 e alla 800
Dopo il fondo la fase di levigatura con la carta 240Il costo pattuito è stato tutto sommato contenuto.

Pensate che tutto compreso abbiamo speso mille euro!
Un doppio miracolo. Un lavoro eseguito a regola d’arte, con materiali ‘Sikkens’ e davvero rara maestria. Incredibile.

L'artefice? la Carrozzeria Khan di Flero (BS). Da consigliare vivamente, dato che l'attività svolta comprende già moltissimi mezzi storici.
Abbiamo peraltro calcolato che a 112 euro più Iva al kg, la vernice che il carrozziere ha usato ha comportato una spesa non indifferente. In particolare sono stati stesi sotto i nostri occhi vigili: 3 chili di fondo, 3 kg circa di vernice metallizzata all’acqua e 1.5 di vernice lucida a solvente. Uso ridere qualcosa come 500 euro o più solo di materiali a cui si sommano lo stucco poliuretanico steso sulle nostre pezze e il nuovo antirombo verniciato sopra il nostro.
Una verniciatura preceduta da una stuccatura accurata, seguita dalla carteggiatura.
Quindi lo strato a spessore di fondo poliuretanico, poi levigato a mano.
Minuziosamente e pazientemente. Tirato in un solo senso con carta abrasiva da 120, poi 240, 400 e quindi 800.
Prima della verniciatura, sotto il nostro sguardo, la vettura è stata carteggiata con grana 1000. Le superfici sono diventate quindi lisce come vetro.
A quel punto sono state date tre mani a spruzzo in forno a 20°C di vernice metallizzata Sikkens ad acqua (colore P400 – Azzurro Appennino come da indicazione trovata nel cofano motore e su un adesivo che abbiamo conservato sul portellone) seguita qualche ore dopo lo stazionamento a 60° C di due mani di vernice lucida a solvente, a lenta essicazione.
Risultato? Semplicemente un sogno.
La Fiat 128 3P è stata quindi restituita a nuova vita, fiammante nel motore e nella carrozzeria, per non parlare degli interni.
Per le finiture ci siamo avvalsi dei ricambi offerti dall’”Unione carrozzieri” di Flero: una vera e propria Mecca per i professionisti, ma ancor più per gli appassionati. Personale preparato, cordiale e sempre disponibile ti assiste nelle richieste più strane. Dove non arriva il catalogo giunge l’esperienza. Dai particolari più strani ai piccoli accessori della carrozzeria, per pochi euro ci siamo portati a casa tutto quanto la vecchia 128 3P chiedeva.


Dal blocco chiave del portellone, ai ganci di fissaggio delle imbottiture delle portiere, passando per le ghiere della leva dell’alzacristalli (simile a quello della Fiat 500), piuttosto che ai tamponi in gomma di fine corsa del portellone, abbiamo trovato tutto l’occorrente per completare il montaggio della vettura.
Necessario a questo punto approntare la riparazione del cruscotto. Già l’uso di un prodotto specifico per la cura delle parti plastiche ci ha permesso di riportarlo in condizioni presentabili. Il sole negli anni, tuttavia, ha depolimerizzato la plastica dei rivestimenti, imponendoci un restauro integrale che eseguiremo nei prossimi giorni. Nulla di impossibile, ma certo un appunto speciale sulla nostra agenda del fare.
In queste ultime settimane la conclusione dell’intervento, con il rimontaggio della maschera dei fari, il ripristino dei collegamenti e la rimessa in funzione di ogni singolo gruppo ottico (la 128 ne monta 4).
In questo caso insostituibile il supporto della “Ariel” dell’amico Renzo: un’azienda bresciana specializzata nella ricambistica elettrica, gestita in modo capace con una marea di vecchi ricambi in magazzino. Il tutto venduto a prezzo giusto. Imperdibile come supporto.
Tra le ultime operazioni il montaggio dei paraurti.
Mantenuti gli originali, abbiamo provveduto a raddrizzarli dalle cento botte procurate nei parcheggi cittadini. Purtroppo, nonostante la raddrizzatura, in taluni punti le botte restano visibili.
Provvederemo in un secondo tempo a cambiarli qualora dovessimo trovarli come fondo di magazzino ad un prezzo accettabile. Per il momento ce li facciamo andare bene, nonostante la cromatura in alcuni punti levata e qualche opacità di troppo.
E’ giunta quindi a conclusione un’impresa davvero difficile, rimasta sotto il tetto di budget stabilito, anche se con tanto lavoro e con tanta forza di volontà.
Alla fine ci siamo trovati soddisfatti.
L’auto è uscita decisamente bene, il divertimento, a ripensarci, c’è stato e l’esperienza maturata è stata tanta.
Ovviamente da reimpiegare nel prossimo restauro...
E certamente non mancheranno altre occasioni di parlarne su 4 Tempi...


Roberto Manieri
r.manieri@giornaledibrescia.it
 

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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