Storie

Il vecchio strassaröl e il ricco benefattore

Ricevere e donare: non solo un modo di dire
Uno strassaröl
Uno strassaröl
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Chiedete e vi sarà dato (purché ci sia qualcuno che può dare). Nel viaggio con cui Dialèktika sta andando alla scoperta della famiglia immaginaria bresciana (da Carlo Códega alla Maria dei Spaèncc, da Tóne e Batìsta fino alla Màrta Enfiàda) i lettori ci hanno regalato molti modi di dire paradigmatici. Alcune di queste figure sono proprio legate al chiedere. Magari per professione. Come nel caso del strassaröl del gioedé di cui ci scrive il nostro Giuseppe: figura che settimanalmente passava in città per raccogliere stracci e che di stracci era vestit.

Lucia da Pralboino ci racconta invece di uno straccivendolo che veniva dal Cremonese. Si annunciava da in fondo alla via col suo mantra («Stràsse-òs-fèr-rót-crì-de-caàl-pèi-de-conécc-stràsse-fónne») rivolgendosi alle donne del rione per dare nuova vita commerciale a materiale di scarto. Quando un oggetto era proprio non più utilizzabile - e capitava di rado - allora e solo allora finiva «nello sporco». Così in città, fino agli anni Cinquanta, di qualcosa di irrecuperabile si sentiva dire «dàghel a Ghéda» perché Gheda era il nome della ditta che si occupava di raccogliere i rifiuti. Il religioso che dragava fondi a sostegno di iniziative caritatevoli era invece il Frà Sercòt. Cosa che presupponeva l’esistenza di benefattor

i. A Brescia benefattore storico e paradigmatico è stato, a inizio Novecento, Gaetano Bonoris. E così al bresciano che voleva far presente di non essere in grado di fare regali a destra e a manca bastava dire «g’hó mìa la borsa de bonoris» e tutti lo capivano al volo. Chiedete e vi sarà dato (purché ci sia qualcuno che può dare).

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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