Dalle provocazioni alle bombe, una stagione di violenza politica
Il professor Paolo Corsini è stato ospite dei «Pomeriggi» curati da Fondazione Clementina Calzari Trebeschi nell’auditorium San Barnaba, piazzetta Benedetti Michelangeli, in città. Gli incontri, promossi dal Comune e organizzati con Casa della Memoria e Fondazione Micheletti, sono ispirati al 50° della strage di piazza della Loggia. Riportiamo qui di seguito un abstract testuale e il video completo del suo intervento.
La strage consumata in piazza della Loggia il 28 maggio 1974 rappresenta l’ultimo, drammatico anello di una catena di provocazioni, pestaggi, violenze, «imprese» compiute a Brescia contro esponenti sindacali e della Sinistra, ex partigiani, studenti del «movimento» da parte di militanti neofascisti missini o riconducibili a quella Destra radicale che, in stretto accordo con settori degli apparati statali dalla spiccata attitudine a perseguire finalità eversive, si è resa protagonista della strategia della tensione protrattasi nel corso degli anni Settanta.
Un salto di qualità da una stagione di microviolenza diffusa ad una di violenza terroristica viene compiuto con l’attentato dinamitardo alla sede della federazione socialista bresciana la notte tra il 3 e il 4 febbraio 1973. I tratti marcatamente delittuosi dell’iniziativa, la pericolosità dell’ordigno, la connotazione politica dei responsabili – tutti di «Avanguardia nazionale»-, configurano il superamento del confine tra teppismo e azione squadristica da un lato, terrorismo, azione mirata e coperta dall’altro.
Una strategia che affonda le sue radici in preparativi già avviati nel bresciano dalla fine degli anni Sessanta, allorché il Msi, con il ritorno di Giorgio Almirante alla segreteria del partito, adotta la strategia del «doppio binario», oscillante tra «doppiopetto» e «alternativa rivoluzionaria al sistema». Ambienti e personaggi dell’estremismo nero stringono collegamenti con organizzazioni proclive a suggestioni autoritarie o addirittura golpiste.
Emblematica la trama eversiva con al proprio vertice l’ex partigiano «bianco» Carlo Fumagalli, fondatore nel 1962 del «Movimento di azione rivoluzionaria»: due «corrieri del tritolo» bresciani sono arrestati a Sonico in Valle Camonica, il 9 marzo del 1974, mentre stanno operando per l’organizzazione. Viene allo scoperto l’esistenza di forze che nella cospirazione coltivano progetti di destabilizzazione antidemocratica. Essi in città e provincia si traducono in uno stillicidio di attentati la cui portata vien resa evidente da un episodio fortunatamente senza conseguenze che potrebbe causare una strage: l’attentato alla sede provinciale della Cisl dell’8 maggio 1974.
Prende sempre più corpo un processo di drammatizzazione della lotta politica che, a ridosso della campagna referendaria sul divorzio, preannuncia sviluppi carichi di tensione e forieri di tragiche vicende. È l’intera Destra neofascista ad essere in ebollizione: quella di diretta ascendenza salodiana, sopravvissuti della Rsi, gli incalliti nostalgici del «fascismo rivoluzionario», ma anche quella della jeunesse dorée, i rampolli di una borghesia reazionaria che fa capo ad ambienti e settori di un padronato mai disposto ad accettare la dialettica sindacale, deciso a ristabilire «legge e ordine» in fabbrica. Accanto e a stretto contatto con questo variegato mondo personaggi ambigui, lestofanti, delinquenti comuni di estrazione sottoproletaria in cerca di essere assoldati.
E poi, come si legge nella sentenza della Corte di Cassazione del 20 giugno 2017 che condanna all’ergastolo l’ex esponente veneto di «Ordine nuovo» Carlo Maria Maggi e l’ex fonte Tritone dei servizi segreti Maurizio Tramonte, tutta una serie di coperture «sino all’appoggio diretto di appartenenti ad apparati dello Stato, ai servizi di sicurezza nazionali ed esteri»: un trasparente riferimento ai vertici dell’Arma, ad ufficiali del Sid, a personaggi di stanza nella base Nato di Verona. Alle parole d’ordine in precedenza lanciate dalla Destra neofascista missina – «avanti nelle urne e nelle piazze»- fa seguito il lugubre preannuncio -una indicazione- che «le bombe faranno sentire la loro voce». È il sindacato a cogliere tempestivamente la pericolosità di un disegno dagli «obiettivi molto precisi» e a proclamare uno sciopero di quattro ore , nonché il Comitato unitario provinciale antifascista a indire una manifestazione a sostegno della democrazia contro «la delinquenza nera che dev’essere isolata e schiacciata senza esitazione».
L’ordigno che esplode in piazza della Loggia ha dunque un bersaglio mirato e frontale: la democrazia e il sindacato che la difende. In piazza della Loggia, nella più politica delle stragi perpetrate tra il 1969 e il 1974, non cadono infatti vittime innocenti, ma uomini e donne «colpevoli» di un antifascismo coerente, animato da una determinazione che non si arrende, fino a testimoniare col martirio la propria consapevolezza civile, la propria passione democratica, il proprio impegno politico.
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