La Lombardia punta a riaprire in maggio con le «4 D»
La Lombardia chiede al governo di dare il via libera alle attività produttive dal 4 maggio, nel rispetto di quattro condizioni: ribattezzate le 4 D: distanziamento tra le persone, dispositivi di protezione obbligatori (le mascherine), digitalizzazione del lavoro (smart working per le attività che lo possono prevedere) e diagnosi, anche grazie ai test sierologici che inizieranno dal 21 aprile.
Prosegue dunque il lavoro per avviare la cosiddetta Fase 2 dell'emergenza coronavirus. A livello nazionale, tra le ipotesi su cui lavora la task force guidata da Vittorio Colao in vista del 3 maggio, ci sarebbe al momento la riorganizzazione del sistema dei trasporti pubblici, per ridurre al minimo il rischio contagio. Tra le soluzioni già al vaglio di ministeri e enti locali quella di incrementare il personale, anche sugli autobus in città, per «evitare» la salita su mezzi che abbiano già raggiunto la capienza massima consentita (attualmente fissata a circa la metà dei soli posti a sedere).
In un secondo momento il controllo potrebbe essere poi demandato a una app conta-persone. Sempre la tecnologia dovrebbe essere utilizzata anche in funzione anti-contagio, anche se ancora non sono state prese decisioni con i nodi «privacy-Gps bluetooth» ancora da sciogliere.
In attesa delle indicazioni della task force - che tornerà a riunirsi domani e da cui il premier, Giuseppe Conte attende a breve i primi feedback - il Comitato tecnico scientifico ha intanto validato le caratteristiche che dovranno avere i test sierologici (da fare con prelievo del sangue e non con la puntura sul dito). E ha dettato dei prerequisiti per la ripartenza: non solo essere in grado di prevenire la circolazione del virus, ma anche di garantire la massima sicurezza sia per chi lavora nell'industria sia nei contesti commerciali o familiari. Un criterio per la ripresa delle attività, ha spiegato il vicepresidente dell'Oms e componente del comitato Ranieri Guerra, deve essere la capacità di garantire le distanze all'interno di stabilimenti e uffici mentre il numero di mascherine da assegnare a ogni lavoratore dipenderà dalle mansioni.
Proprio il fabbisogno di Dpi è uno dei principali crucci, perché ancora la produzione nazionale è lontana dai numeri necessari per fare rientrare tutti al lavoro. Proprio per questo si sta riflettendo sulle regole per lo smart working che potrebbe essere reso «obbligatorio» in tutte quelle realtà che ne permettano il ricorso, almeno per il perdurare dello stato di emergenza. Anche lasciare più persone a lavorare da casa, infatti, rientra nella strategia per evitare le «ore di punta» sui mezzi pubblici che dovrebbero comunque essere potenziati, aumentando le corse.
Ma andranno ripensati anche gli orari di lavoro, differenziati per categorie: «Non possiamo più immaginare che milioni di persone si muovano tra le 7.30 e le 8.30 del mattino» ha detto il ministro Paola De Micheli, ipotizzando che i mezzi di trasporto (compresi navi e aerei) non potranno essere riempiti oltre «il 60%» per mantenere il distanziamento tra i passeggeri. Per il momento, sempre a livello nazionale, si stanno comunque valutando le riaperture anticipate, magari già alla prossima settimana, solo di alcune filiere (dalla moda all'automotive) aggiornando l'elenco dei codici Ateco delle attività consentite, anche se si moltiplicano gli accordi sulla sicurezza sul lavoro, territoriali o per settori, per auto-organizzarsi in attesa del via libera a riaprire i cancelli. Anche gli ambulanti, ad esempio, stanno stilando una sorta di auto-regolamentazione da proporre alle varie Regioni, o all'esecutivo, per ripartire con tutte le protezioni, e c'è chi già, come Jesolo, cerca di salvare la stagione estiva proponendo un modello di accesso in spiaggia solo su prenotazione.
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