Il nostro primo mese con il coronavirus
È passato un mese da quando ci siamo svegliati con il nostro «paziente 1». È la notte tra il 20 e il 21 febbraio quando Mattia, 38enne manager dell'Unilever, viene ricoverato in gravi condizioni all'ospedale di Codogno, nel Lodigiano, e risulta positivo a un test per il coronavirus. A poche ore di distanza, nell'ospedale di Schiavonia muore Adriano Trevisan, un 78enne imprenditore edile in pensione ricoverato da un paio di settimane.
L'Italia, e in particolare le regioni del Nord, piombano nell'incubo del Covid-19.
Quel virus che sembrava così lontano stravolge le nostre vite e, nonostante i racconti e gli avvertimenti dalla Cina, si presenta con una tale violenza che ci trova impreparati.
A un mese dall'inizio dell'epidemia, l'Italia conta 4.032 morti risultati positivi al tampone per il coronavirus: di questi 594 sono bresciani, 695 bergamaschi. I casi totali (la somma cioè dei deceduti, dei guariti - 5.129 - e delle persone attualmente malate) sono 47.021. A un mese dall'inizio dell'epidemia l'Italia ha il più alto numero di morti di tutto il mondo, più della Cina da cui è partita la pandemia.
L'andamento della curva epidemica del Covid-19 in Italia segna una situazione ancora «pesante» e prima della fine di marzo, secondo gli epidemiologi, sarà difficile vedere l'effetto delle misure più restrittive adottate. Ma anche a fronte di un calo dei nuovi casi, avvertono, il rischio di una nuova ondata epidemica esiste e le misure restrittive «per ora non potranno essere allentate».
La «curva in salita» di morti e contagi, afferma il direttore del dipartimento Malattie infettive dell'Istituto superiore di sanità Gianni Rezza, «si spiega probabilmente con il fatto che si stanno ammalando persone che si erano contagiate prima dell'entrata in vigore, lo scorso 9 marzo, delle misure più restrittive con l'indicazione di restare a casa. E successivamente al 9 marzo sono probabilmente continuate delle catene di trasmissione, anche intra-familiari». La speranza sta ora proprio nell'effetto che tali misure dovrebbero portare: «Considerando l'andamento, penso però che prima della fine del mese difficilmente si potrà vedere l'impatto in positivo di tali misure».
«Il contagio corre ancora a Bergamo e a Brescia» ha detto oggi nella quotidiana conferenza stampa l'assessore regionale al Welfare, Giulio Gallera. La nostra provincia ha raggiunto i 4648 casi casi, compresi i 594 morti e i 1.156 dimessi registrati dall'Ats di Brescia.
Solo alla fine dell'emergenza sapremo però la reale portata dell'impatto del coronavirus: a oggi, infatti, i numeri tengono conto solo delle persone a cui è stato effettuato un tampone perché - come stabilito dall'Istituto superiore di sanità - il test viene eseguito solo a chi si presenta in ospedale con difficoltà respiratorie, non a chi resta a casa, in autoisolamento, con febbre o sintomi più lievi. Una regola che vale per gli ammalati, ma anche per i morti: senza un passaggio in ospedale, il test non viene eseguito.
«La crescita continua dei contagio che registriamo in questi giorni è l'effetto del folle weekend dell'8 marzo» ha sottolineato in conferenza stampa l'assessore Gallera. Quella domenica, Brescia contava 505 casi positivi e 34 morti ed erano passate più di due settimane dalla notizia del «paziente 1». Quella domenica è stato il primo giorno di restrizioni in tutta la Lombardia, trasformata in un'unica grande zona rossa. Restrizioni che due giorni dopo sono state estese a tutta Italia, fino al 3 aprile, e che hanno subito una nuova stretta la sera dell'11 marzo, con un decreto del presidente del consiglio dei ministri con scadenza il 25 marzo.
A un mese dall'inizio dell'emergenza in Italia il governatore della Regione Lombardia, Attilio Fontana, si trova a chiedere che quelle restrizioni diventino ancora più rigide. Perché i numeri del contagio continuano a correre, il sistema sanitario è sotto stress: l'Asst Spedali Civili ha 300, tra medici e infermieri, positivi al test; i dispositivi di protezione personale sono merce rara, non solo negli ospedali, ma anche nelle case di riposo dove nel Bresciano si contano decine di vittime.
Nel corso di una telefonata con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il sindaco di Brescia, Emilio Del Bono, ha chiesto un provvedimento mirato per la Lombardia, «perché bisogna interrompere alcune filiere produttive e commerciali, sono ancora troppe le persone in giro».
In serata è arrivata una nuova ordinanza, valida fino al 25 marzo, che vieta le attività ludiche all'aperto, ma consente di fare sport purché da soli e nelle vicinanze di casa.
Di ordinanza in ordinanza si cerca dunque di contenere l'epidemia. Questo il riassunto del primo mese con il coronavirus.
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