Il tifo di Gianni Chiarolini per il Darfo è vero amore

Se siete andati ad una partita del Darfo – che sia in casa o in trasferta – almeno una volta negli ultimi quindici anni lo avete sicuramente visto. E sentito. Bandiera neroverde, sciarpa, tamburo e novanta minuti ininterrotti di cori. Spesso solo, a volte in compagnia, generalmente staccato dalle tribune.
Domenica scorsa, nella gara valida per il campionato di Eccellenza tra i camuni e il Bsv Garda, in trasferta a Bedizzole, Gianni Chiarolini era solo: sciarpa al collo, bandiera in aria per 90’ e costante rullo di tamburo. E se il suo Darfo ha perso 1-0, non importa: i cori non si sono mai fermati, fino al triplice fischio. Per Gianni i neroverdi sono una questione identitaria. «Come, perché tifo al Darfo? Perché sono camuno, e questa è la mia squadra», spiega sorridendo.
La sua storia
Era il 2010 quando si è unito per la prima volta al tifo organizzato della curva dei camuni: una piazza che si è a poco a poco svuotata, ma nella desertificazione dilagante per Gianni la decisione da prendere era una sola. «Volevo fare il toro seduto in tribuna? No. Volevo fare l’ultras, e quindi ho continuato, spesso da solo. Non è semplice, a volte, essere l’unico con un tamburo a cantare con 200\300 persone che ti puntano gli occhi addosso, ma la passione supera la paura. Spesso mi immagino di essere circondato da una folla che canta con me: aiuta».

Come reagiscono gli avversari? «Dipende, c’è chi alla fine viene a stringermi la mano, chi rompe un po’ più le scatole. Quest’anno nel bergamasco i tifosi dell’altra squadra hanno iniziato ad alzare i toni: i dirigenti sono venuti a scusarsi a nome della società e mi hanno offerto delle frittelle. Succede anche questo, ma io cerco sempre di stare nel mio: lontano dalle tribune, così non do fastidio a nessuno».
Solo cori rispettosi
E la filosofia del non dare fastidio si traduce anche nel non fare mai cori contro gli avversari. «Mai. Perché dovrei? Per me essere tifoso significa sostenere la propria squadra, basta. Questo è un vero ultras, tutto il resto sono persone che sfogano nel calcio frustrazioni loro con comportamenti violenti che non c’entrano con lo sport. In quindici anni non ho mai preso una diffida: il calcio è come la vita, se ti serve screditare gli altri per stare bene con te stesso, il problema è tuo».

Dedizione
Una dedizione alla causa che non fermano i chilometri – «Anzi, fosse per me mi piacerebbe pure andare più lontano: sogno di cantare a San Benedetto del Tronto nello stadio della Sanbenedettese» – e che la società ha premiato anni fa. «Eravamo a Busto Arsizio, in ultima partita di campionato di serie D contro una già promossa Pro Patria: la festa era la loro, ma io non mi sono fatto intimorire, mi sono messo nella mia zona con una bandierona ed il mio tamburo e ho cantato come sempre. Alla fine mi hanno fatto scendere in campo per regalarmi una targa di ringraziamento per il mio sostegno».

Se per il Darfo, con quattro giornate ancora per chiudere il campionato regolare, resta aperta la sfida per evitare i play out, i camuni intanto hanno già vinto quella del tifo.
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