Gnanzou, addio al calcio per la «sindrome del cuore infranto»
Un tempo lo chiamavano crepacuore: provocato da uno choc, portava a problemi serissimi di salute chiunque avesse subìto un grande dolore. Nel caso di Jean Gnanzou, classe 1989, il male oscuro ha invece il nome di morbo di Tako-Tsubo, conosciuto anche come «sindrome del cuore infranto»: una disfunzione cardiaca che può favorire l’infarto. In comune col «crepacuore», il fatto di legarsi direttamente a una situazione emotivamente forte.
Cos’è il morbo di Tako-Tsubo
La sindrome di Tako-Tsubo è una condizione cardiaca temporanea che simula un infarto, ma senza ostruzioni significative delle arterie coronariche. Spesso scatenata da eventi di forte stress emotivo o fisico, come lutti, traumi o persino emozioni intense positive, è caratterizzata da dolore al petto e difficoltà respiratorie. Questa sindrome, il cui nome deriva dalla forma del cuore durante l'episodio – simile a una trappola giapponese per polpi – è legata a un'eccessiva produzione di ormoni dello stress, che alterano temporaneamente la funzione del ventricolo sinistro. Sebbene nella maggior parte dei casi sia reversibile e con prognosi favorevole, può causare complicazioni gravi, richiedendo un’attenta diagnosi e un trattamento mirato, che includa il controllo dei sintomi e la gestione dello stress.
Il racconto
«È cominciato tutto il 25 maggio scorso – ricorda Jean, che smette a 35 anni –. Ho subìto un banale tamponamento in auto a Roncadelle e la sera, a casa, ho avvertito tutti i sintomi dell’infarto. Sono andato al pronto soccorso e, dopo alcuni accertamenti, si è optato per una cura con alcuni medicinali. Il problema è rientrato ma, come ci è stato spiegato sfruttando uno studio condotto a Catania che ha rivelato come il morbo favorisca il ripresentarsi dell’infarto, non avrò più la possibilità di ottenere l’idoneità agonistica. Di fatto non posso più fare sport, se non in maniera controllata, senza superare determinati battiti al minuto e dunque senza sforzi. A quel punto, ho deciso di smettere».
A 35 anni ti sei comunque tolto diverse soddisfazioni.
«Sono sincero: avrei voluto giocare altre 2-3 stagioni, ma con la salute non si scherza. Anche perché ho chiuso a Montirone da vincente, conquistando campionato e titolo di cannoniere con 36 reti. Però devo anche precisare una cosa: prima dell’incidente, tutte le mie prove da sforzo erano perfette. Quindi non posso dire di avere rischiato e di avere giocato con una disfunzione cardiaca a mia insaputa. Semplicemente tutto è partito da quel maledetto incidente, dunque il mio problema ha una data di inizio».
Cosa ti mancherà del calcio giocato?
«Due particolari soprattutto: il clima dello spogliatoio, forse più negli allenamenti che non nelle partite. E il sapore della tensione pre gara, a partire dal sabato».
C’è un momento, una stagione, che ricordi con più piacere di altre?
«Credo la prima delle due promozioni a Borgosatollo, quando siamo saliti dalla Seconda alla Promozione. Per me era stata una rivincita: molti mi davano per finito, arrivavo da qualche stagione poco positiva dopo avere giocato anche in Eccellenza all’Orsa. Fabrizio Romano, il mister, mi coinvolse, mi disse che credeva in me e giocai una grandissima stagione: quel Borgosatollo era un super gruppo, che non a caso conquistò subito dopo anche la Promozione».
Resterai nel mondo del calcio, come dirigente o allenatore?
«Sinceramente non credo, non mi ci vedo».
A Jean però non manca certo la voglia di sorridere, nonostante tutto, con autoironia. «Quando ho deciso di smettere, ho subito pensato cosa avrei fatto la domenica. Poi mi sono detto che, almeno, ora non devo più limitarmi al riso bianco e bresaola, classica dieta pre partita… Posso lasciarmi andare un po’ di più, senza esagerare».
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